Oggetto recensito:
Pippo Delbono è un apprezzato regista, in prevalenza teatrale ma non solo, difficilmente “catalogabile” se non come artista impegnato, come lui stesso ci dice, "a raccontare la vita" in ogni suo aspetto. Quando si ammala la sua mamma (una bellissima signora ligure molto devota alla fede) il regista decide di affrontare lo strazio riprendendone gli ultimi momenti con un cellulare fino alla sua morte. Poi il caso vuole che quasi in contemporanea un suo amico, che invece ha una “storia” tutta diversa dalla sua, perde la moglie Anna che lo ha amato, ed accettato (in scelte di vita non condivise nella azione ma solo nelle successive e dolorose conseguenze) perpiù di 40 anni.
Lacondivisione del lutto tra i due amici diventa allora un film che inizia e finisce conle immagini di una città colpita ed affondata dal terremoto e tenuto insieme dareiterati richiami alla Cavalleria Rusticana di Mascagni che il regista hacurato per il Teatro San Carlo di Napoli.
Leimmagini quindi sono tutte vere, girate in presa diretta con il telefonino, esenza attori e recitazione, giacchè i tre protagonisti (i due amici e la mamma delregista) vengono filmati mentre compiono questo percorso come si trattasse di unreality TV autofilmato.
La morte, nonostante venga mostrata in tutta la sua crudezza, si colloca così laicamente all’interno della vita, da finire con l’essere la più spirituale ed accettabile delle evenienze e così il messaggio finale, ammesso che ce ne sia uno, è di pace e di speranza, come da un regista dichiaratamente buddista è lecitoattendersi.
Si tratta dunque di un lavoro di straordinaria originalità (e realizzato con una maestria tecnica che ha pochi paragoni), con sequenze memorabili e musiche perfette, e che provoca nello spettatore diverse reazioni in corso d’opera, ma che alla fine genera una strana sorta di serenità interiore.
Questo è il film, bellissimo dunque, e giustamente premiato al recente festival di Locarno, ma questo film non lo vedrà probabilmente quasi nessuno e nonostante il regista sia noto ed ingaggiato dai principali Teatri italiani non ultimo il glorioso Piccolo di Milano, dove nel mese di ottobre saranno in scena ben due sue creazioni.
Perché questo, che ieri sera ha ovviamente occupato parte del successivo dibattito in sala con il regista ?
Semplice e senza sorprese: perché l’amico dalla storia diversa da quella del regista è stato negli anni settanta un noto dirigente delle Brigate Rosse, e così di quella “storia” in questo film, Giovanni Senzani, ogni tanto inevitabilmente parla, dato che è la sua (oltre che quella di una parte di una generazione italiana e mondiale, ma transeat).
Ovviamente né il film, né il regista, né lo stesso Senzani offrono il benchè minimo spunto a tutti quei rilievi di sorta che si sono subito scatenati su tutti i media nostrani e senza distinzioni alla sola notizia della proiezione a Locarno.
Ma questo tutti i vari “censori di professione” non possono saperlo perché, come ha subito ammonito il prode Caselli, “non si va a vedere un film dove recita un feroce assassino” .
Nulla di nuovo sotto il sole insomma ed è singolare che il bravo Delbono non lo avesse preventivamente messo in conto, eppure, a mia specifica domanda ieri mi ha risposto: “no, non lo immaginavo finchè non l’ho vissuto sulla mia pelle, questo film non ha trovato un distributore” .
Già questa risposta fornisce la miglior prova della assoluta buona fede del regista sbattuto nel tritacarne, ma come sempre di tutto questo non gliene fregherà nulla a nessuno.
Importante infatti è “tenere alzata la guardia” anche dopo 40 e passa anni, che poi in realtà si tratti del documento dove più di tutti si celebra anche il definitivo funerale di una storia passata ed irripetibile non conta nulla, perchè questo è "merito" ed il merito, in queste cose, non conta.
Peccato solo per chi ieri non c’era, è un gran bel film, che probabilmente non si proietterà più.
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