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DIBATTITI CULTURALI

N(e)o realismo?

Il dibattito nasce da uno scambio di opinioni sulle pagine di Repubblica, tra i filosofi Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris. L'uno teorico e sostenitore del pensiero debole, l'altro primo firmatario di un Manifesto per il nuovo realismo. In ballo c'è nientemeno che la possibilità di una verità, al di là di ogni interpretazione


di Federico Capitoni

I due misteri, di Renè Magritte, 1966


Proprio un anno fa le pagine culturali de La Repubblica ospitavano un dialogo apparentemente innocuo (e lo era, in termini ideologici) tra Maurizio Ferraris e Gianni Vattimo. Il tema era il Nuovo Realismo. Cioè, prendendo di coscienza che, nel mondo attuale, le cose non si stavano rivelando per come le avevano pensate i postmoderni, Ferraris invocava un ritorno all’oggettività, invitando Vattimo - il cui “pensiero debole” scaturisce proprio da un orizzonte postmodernista - a rendere conto di questa “delusione”. Quella sana conversazione ha dato poi luogo a un acceso dibattito, passato per altri giornali e conferenze, che oggi è approdato in libreria: Ferraris compendia nel Manifesto del Nuovo Realismo (edito per Laterza) il suo indirizzo teoretico, Vattimo difende la tradizione ermeneutica pubblicando Della realtà. Fini della filosofia sotto Garzanti.
 
Le ragioni di Ferraris sono piuttosto semplici. La proposizione paradigmatica dell’antirealismo “non ci sono fatti, bensì soltanto interpretazioni”, portata all’utilizzazione estrema, ha dato luogo a un’eccessiva messa tra virgolette del mondo, una conseguenza ennesima della soggettivizzazione dei giudizi, ove quelle virgolette stanno per un sottinteso “per me”. Ma, sebbene esistano fatti equivoci, sebbene ogni singolo individuo abbia una rispettabile visione del mondo, questa libertà interpretativa rischia di sfociare nel “vale tutto”, indebolendo così la verità. Ora, sono tante le osservazioni immediate ed elementari che si possono fare sull’Aussage di Nietszche.
   
mferraris.pngPer esempio si può dire che se ci sono delle interpretazioni allora ci deve essere pure un qualche fatto (che quindi precederebbe l’interpretazione) oppure che l’interpretazione stessa è un fatto (vorremo negare che interpretiamo di continuo?). E del resto lo stesso Nietzsche avrebbe dovuto vedere che la sua medesima frase non è altro che un’interpretazione, quindi discutibilissima e soprattutto vittima di infiniti regressi (circoli ermeneutici o semiosi illimitate, come si preferisce).  Ciò che Ferraris contesta a Vattimo e ai postmoderni, è che il mondo in cui viviamo smentisce continuamente l’antirealismo e che persino i fatti costruiti socialmente sprizzano oggettività da tutti i pori. Sostenere che il mondo là fuori esiste anche senza di me, cioè non sarebbe una mia rappresentazione, è una prospettiva realista. Ma come lo era quella di San Tommaso, quindi non nuova.
 
Invece il Nuovo Realismo sta nel conservare pur qualcosa dell’insegnamento postmodernista. Ferraris arriva a una posizione costruzionista moderata, debole la chiama, in cui l’assunto fortemente ermeneutico di Derrida, “nulla esiste fuori del testo”, diventa “nulla di sociale esiste fuori del testo”.
 
È un’escogitazione che permette a Ferraris di tutelarsi - un po’ come fece Peirce con l’abduzione, trovata che salvava dalla deriva pragmatista cui portava l’adesione radicale all’induzione alla Mill (strada scelta invece da William James, autore di una delle frasi più sconcertanti di sempre: “la verità càpita a un’idea. Un’idea diventa vera, è resa vera dagli eventi”) - dalle accuse di un ottuso assolutismo che non riconoscerebbe alcun atto come sociale. La partita con in postmodernisti in realtà, si gioca tutta qui. Neanche l’antirealista più estremo utilizzerebbe un’iPad per bere dell’acqua (il tablet non può essere “interpretato” come contenitore per liquidi, in alcun modo), ma a pensatori come Vattimo non interessa davvero se la montagna esista in assenza del soggetto; è piuttosto importante porre l’attenzione sulle questioni etiche, politiche, sociali, che non possono essere ridotte a verità di fatto (la montagna, appunto, o l’iPad che non è un bicchiere).
 
È chiaro che alla fine tutto converge nel problema del fondamento: va bene, Vattimo - diremmo - però indicateci, voi postmodernisti, su cosa si fondano tutti i fatti costruiti socialmente. Qualsiasi cosa è costruita su delle fondamenta. Potremmo mai edificare sull’interpretazione? Un filosofo che si rifà a Nietszche, Heidegger e Rorty non può fa altro che difendere una svalutazione del fondamento, ossia una maniera di raggiungere la verità (o la favola, se la verità non esiste) attraverso il dialogo, il confronto di interpretazioni. Altra frase stra-pragmatica, stavolta di Vattimo, a riassumere il concetto: "Verità si dà quando ci mettiamo d’accordo". Chi la pensa come Ferraris potrebbe dire: ma allora se siamo tutti d’accordo che il bastone nell’acqua appare spezzato, questa è verità? Sì lo è, perché è vero che il bastone nell’acqua appare spezzato (interpretazione) e le leggi dell’ottica lo spiegano perfettamente (oggettività).
  
Sicché se i libri di Ferraris e Vattimo sono due ottimi testi, è invero il dibattito sul realismo

 che è di dubbio senso. Sembra che i due filosofi

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 guardino nella stessa direzione, solo da punti di vista diversi. Le interpretazioni si realizzano, le opinioni diventano vere: se arriviamo a un accordo, c’è un motivo. E il motivo è che realtà e interpretazione, verità e opinione, sono in stretto contatto (a meno di non pensarle nettamente separate alla maniera di Gennaro Sasso). Il fatto è il fondamento dell’interpretazione. Per quanto riguarda il fondamento del fatto… beh il problema è metafisico.
 
Quella di Ferraris si mostra come una sorta di nuova filosofia del senso comune, magari mascherata da ragionamenti un po’ più rigorosi. A molti oggi Ferraris sembra dire l’ovvio (la montagna esiste comunque anche senza di me, ed è la stessa per tutti), ma non dimentichiamoci che non sono lontani i tempi in cui il relativismo era l’unico modo di pensare se non si voleva venir presi per ingenui. Il realismo, l’oggettività, la pretesa di universalismo, erano troppo facili. E anche considerati pericolosi, perché spesso confusi col dogmatismo. Il pensiero post-moderno è stato il terreno fertile per gli antropologi, che hanno tentato di convincere tutti che ciò che vale qui, non vale nell’emisfero opposto; che tutto è culturale, socialmente costruito, relativo al contesto. Oggi, ahiloro, è la stessa etnografia che – autosmentendosi - svela che siamo tutti più “uguali” di quanto pensassimo.
 
Dal canto suo Vattimo non se la sente di abbandonare l’antirealismo, forse per ottimismo, credendo che le interpretazioni comunque tendano alla verità. O forse più semplicemente perché la verità non è poi così importante. Importante invece per Vattimo è che il realismo non porti ad accettare le cose così come sono, ad arrendersi ai fatti. 
 
A ogni modo la questione, soprattutto riguardo l’aspetto del relativismo, è interessante di per sé e lo è ancor di più se condotta tra pagine di un sito come questo, che si occupa di critica e giudizi: oggi il relativismo spinto neutralizza la critica; pensate se un critico dovesse far ruotare i propri giudizi intorno al “dipende”.  Molte recensioni, ora che l’autorevolezza del critico va perdendosi, sono piene di “sembrerebbe”, “potrebbe”, “forse”: è una critica del “sì, ma anche no - non sono nessuno per dirlo”. Senza oggettività non c’è critica.
 
La più ovvia obiezione a un ragionamento del genere è che un critico è per definizione un interprete, e quindi la recensione è esattamente l’interpretazione di un fatto. Ma non c’è spazio, non dovrebbe esserci nella critica, per il giudizio soggettivo e paritario. L’editoriale di un politologo sulla riforma pensionistica non vale come il commento di un signore al bar che ce l’ha con l’Inps. E se un attore recita male, non è “in base al contesto”. Ogni giudizio è fondato sempre sulla verità e chi giudica, prima di farlo, si suppone abbia accumulato competenze che lo aiutano a vederla la realtà, per quello che è. E la verità parla chiaro, attraverso le evidenze. Perché il fatto è che la verità non va scoperta, ma riconosciuta.


Tags: antirealismo, dibattito, Federico Capitoni, Gianni Vattimo, Maurizio Ferraris, nuovo realismo, postmodernismo, recensione,
06 Settembre 2012

Oggetto recensito:

Neorealisti vs postmoderni

M. Ferraris, Manifesto del Nuovo Realismo, Laterza 2012, p 129, 15 euro
 
G. Vattimo, Della realtà. Fini della filosofia, 2012, Garzanti, p 238, 18 euro

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