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Oggetto recensito:
Wayne Shorter Quartet, Cavea Auditorium Roma, 21 luglio 2013
di: Marco Vari




Sono ormai decenni che si discute su cosa sia il jazz e quale direzione/i abbia preso. Una possibile, credibile risposta è la musica di Wayne Shorter, ormai ottantenne che ha attraversato da protagonista gli ultimi sessanta anni di storia dell'improvvisazione. In occasione dell'uscita del suo quarto disco in circa dieci anni con il quartetto formato da Danilo Perez, John Patitucci e Brian Blade , si è esibito in un concerto che è dir poco definire sorprendente. Sorprendente, si intende, rispetto a ciò che ci sta propinando questa estate di festival sparsi in ogni dove, nei quali alle bizze del prevedibile Jarrett, si aggiunge, spacciandolo come evento, la dignitosa ma stantia reunion Corea-Hancock , si riempiono gli stadi per l''ancora vivo' George Benson e ci si diverte pazzamente per la solita world/etno/nordic fusion di Garbarek. Nel mondo c'è ancora qualcuno (decisamente 'andato' - mr.gone) che, pazientemente, pensa, compone e suona come un artista dovrebbe fare e cioè cercando di creare qualcosa di nuovo. La direzione che ha impresso Shorter alla sua musica sembra essere la naturale evoluzione del quintetto davisiano degli anni sessanta; eredità dispersasi in mille rivoli fusion ma mai sviluppatasi in modo coerente all'interno del jazz propriamente inteso. E anche qui bisognerebbe ridistribuire i meriti di quell'inizio e riconoscere i meriti del nostro, che componeva , dirigeva e digeriva ben più consapevolmente dell'istrione Davis. E oggi, come da una vena sotterranea , spunta fuori una musica che non è solo scrittura (ma quanti spartiti sul palco!), non è solo improvvisazione (ma cos'era quella suite di quaranta minuti con temi di cui non si riusciva a capire l'inizio e la fine?), non è solo interplay (ma quale empatia porta Perez a dimenticarsi delle sue origini latine?) e non è solo virtuosismo (chi se lo ricordava un Patitucci così solido al contrabbasso?). Insomma, Shorter rimane il più grande jazzista vivente, libero dalle seduzioni del mercato e per nulla ruffiano (nel concerto nessuna concessione allo spettacolo, niente band introduction, si sale sul palco e via), che indica il futuro possibile di questa musica. Forse è stanco (la durata e il bis striminzito attestano una condizione fisica non più fresca) e quindi è ora che qualcun altro abbia il coraggio di farsi avanti. La strada è tracciata.





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