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POLITICA

Cuba invade il Venezuela

Non con i soldati ma con un esercito di professionisti: ingegneri, economisti, insegnanti, medici. Sono altamente qualificati e stanno colonizzando i posti chiave. E la classe dirigente locale si ribella


di Pippo Russo


Il Venezuela minacciato da una “morsa cubana”. E’ quanto sostiene un articolo pubblicato in questi giorni da Semana, news magazine colombiano. Che descrive la situazione creatasi in Venezuela in seguito all’instaurarsi di un rapporto privilegiato fra il regime chavista e quello castrista. In nome di una fratellanza terzomondista e antiamericana le leadership dei due paesi hanno stretto un patto fondato su una curiosa forma di scambio: beni di consumo e risorse naturali destinate dal Venezuela (paese produttore di petrolio) verso l’isola strangolata dall’embargo Usa, in cambio di servizi e risorse umane altamente qualificate provenienti da Cuba. Il tutto nel quadro di un auspicato passaggio di testimone fra Fidel Castro e il presidente venezuelano Hugo Chavez nel ruolo di leader del fronte latino-americano anti-Usa. Un piano in apparenza ben congegnato, fondato sulla strategia win-win (entrambi gli attori dello scambio ricavano vantaggio senza farlo a scapito dell’altro), e apparentemente solida in virtù di una totale assonanza ideologica.
 
Invece, come spesso accade, l’entrata in funzione dei processi sociali segna uno scarto rispetto alle attese, dando luogo a effetti indesiderati. Fra questi, il principale sta nel fatto che dall’avvio degli accordi di scambio si è registrata in Venezuela una crescita nell’occupazione di ruoli chiave e nell’egemonia intellettuale da parte della comunità cubana. Una tendenza che, come riferisce Semana, comincia a provocare malesseri e defezioni presso gli alti gradi del regime chavista. Il motivo di questa espansione della presenza cubana nei ranghi medio-alti è dato dal profilo altamente qualificato degli individui immigrati in Venezuela. Una caratteristica determinata da un sistema nazionale della formazione che nemmeno nei giorno dell’embargo più severo ha smesso di adottare politiche improntate all’istruzione di massa pubblica e gratuita. Sicché un esercito intellettuale (maestri, professori, ingegneri, economisti, quadri militari, medici) è sbarcato in un paese nel quale, viceversa, il grado di formazione generalizzato è ancora alquanto modesto.
 
Di fatto, si è creata una situazione paradossale di colonizzazione da parte dell’attore economicamente più debole dello scambio, attuata attraverso l’esercizio del soft power. Il che non poteva non provocare il risentimento delle élite locali, costrette a vedersi crescere in casa un nuovo mandarinato indifferente all’aspetto patriottico. In circostanze del genere la solidarietà terzomondista rischia di soccombere a un inatteso avversario: lo sciovinismo più becero. E il grande disegno bolivarista di Hugo Chavez finisce per trovare una minaccia proprio da uno di quelli che avrebbero dovuto essere i suoi punti di forza: la solidarietà fra i popoli latino-americani non disposti a essere “il cortile di casa dello zio Sam”. Per sventare questa minaccia non gli basterà la consueta arma del populismo. Perché stavolta un argomento populista a 18 carati è appannaggio degli oppositori.
Per la cronaca, l’articolo di Semana è stato ripreso da alcuni quotidiani venezuelani, e inquadrato nel registro “Come ci vedono all’estero”. Non bene, evidentemente.



Tags: cuba, embargo, fidel castro, hugo chavez, Pippo Russo, professionisti, usa, venezuela,
25 Febbraio 2010


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