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LIBRI

Se vincesse la fabbrica della paura

Finiremmo tutti come Carlos, il protagonista del romanzo di Isaac Rosa, Il paese della paura. Già ossessionato dall'allarmismo dei media, quando il figlio è vittima di un episodio di bullismo lui precipita in un vortice di diffidenze e timori


di Giovanni Zagni


Nella vita di Carlos, cittadino riflessivo, intelligente, onesto e progressista di una località spagnola che potrebbe essere una qualunque città europea, si è insinuato da anni il germe della paura. Una paura che lui stesso è in grado di analizzare e riconoscere, in cui si mischia l'atavica diffidenza per il diverso e il terrore della violenza fisica, l'influsso dei mezzi di comunicazione e la volontà di difendere la tranquilla vita della sua famiglia. Davanti a tutti è in grado di negarla, superarla, ignorarla, ma essa cresce di giorno in giorno, fino ad avvelenare ogni sua azione quotidiana.
Finché un episodio concreto lo mette veramente a contatto con quella violenza che lo terrorizza: suo figlio adolescente diventa vittima di un episodio di bullismo scolastico e i suoi maldestri interventi si scontrano con un giovane problematico, violento e sfuggente. I suoi tentativi di continuare una vita normale, come se niente fosse, sono fatalmente interrotti dalla ricomparsa del bullo, vera personificazione di tutte le sue paure. 
 
Il libro procede per accumulazioni, elenchi, variazioni, seguendo la casistica mentale delle paure di Carlos, sia quando i ragionamenti cercano di esorcizzare i suoi timori, sia quando lascia libera la sua fantasia di immaginare le degenerazioni più cruente e improbabili. Molti di noi avranno avuto gli stessi pensieri, una sera arrivando molto tardi ad una stazione ferroviaria semideserta, o attraversando una via male illuminata: di qui la capacità del libro di trasmettere vera agitazione, immedesimando con grande efficacia il lettore nel protagonista.
In Bowling a Columbine, il documentario che ha reso celebre Michael Moore, una delle sequenze più impressionanti mostra un caleidoscopico collage di spezzoni televisivi in cui ritornano ossessivamente poche parole ad effetto: pericolo, violenza, crimine. I servizi di apertura dei telegiornali, le riviste, i giornali, i telefilm contribuiscono ogni giorno, di qua e di là dell'Atlantico, a creare una sensazione diffusa di disagio, la stessa in cui vive il protagonista del Paese della paura. Rosa inserisce nella narrazione le sinistre indicazioni del Ministero degli Esteri spagnolo per i viaggiatori in Centroamerica, o le avvertenze sui siti governativi per la sicurezza domestica, che consigliano sbarre alle finestre, attenzione costante, diffidenza e sospetto. Pagine eloquenti, che si possono ritrovare con facilità anche negli omologhi italiani: Carlos è il simbolo del cittadino medio che cede alla “fabbrica della paura” della società che lo circonda. 
 

Il paese della paura ha però i difetti che gli vengono dall'essere lo sviluppo di un solo tema. Gli spunti narrativi e i personaggi secondari si perdono presto per strada, lasciando l'impressione che lo scrittore a volte prometta e non mantenga, accenni e non finisca. Così non si riesce mai a mettere bene a fuoco la figura del giovane bullo o del cognato poliziotto, talvolta anche la meccanica degli eventi: ed è un peccato, perché il libro racconta senza fretta e con andamento gradevole e tranquillo, e forse lo spazio per qualche tratto in più ci sarebbe stato.



Tags: allarmismo, bullismo, fabbrica della paura, Giovanni Zagni, gran vìa, il paese della paura, isaac rosa, mass media, spagna,
17 Febbraio 2010

Oggetto recensito:

ISAAC ROSA, IL PAESE DELLA PAURA, GRAN VÍA, P. 275, EURO 16.50

giudizio:



7.614
Media: 7.6 (5 voti)

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