Quarta e ultima puntata (per ora) della serie di articoli firmati dal direttore, che prendendo spunto da un libro arrivano a formulare delle proposte concrete. La libreria del buon romanzo, di Laurence Cossé, è un giallo anomalo il cui vero tema è la difesa dell’arte e della cultura dalla dittatura del mercato. Una storia che a noi di Giudizio Universale sta particolarmente a cuore perché è la nostra storia, una battaglia che è la nostra battaglia
di Remo Bassetti
La trama è la seguente: due persone, una donna con i capitali adeguati e l’altro con la specifica competenza, decidono di aprire una libreria. Entrambi innamorati della narrativa di qualità, si determinano a connotare la libreria in un modo particolare: essa si doterà esclusivamente di buoni romanzi, evitando accuratamente best seller e paccottiglia varia, e curando che la selezione dei volumi avvenga attraverso la consulenza di alcuni scrittori di levatura, senza che l’identità di costoro affiori pubblicamente. Così comincia, e quella che si sviluppa è la storia di quest’iniziativa.
Tutto qui, direte voi? Si può costruire su un simile plot un romanzo di quattrocento pagine, per giunta con l’implicito obbligo morale che il romanzo sia in grado di ben figurare in un’eventuale libreria che venisse gestita con i criteri di qualità indicati nel romanzo? Ebbene sì. O quasi. Mi spiego. Il sì è riferito al fatto che si può, e a Laurence Cossè riesce molto bene.
Il quasi è che questa delicatissima scrittrice, forse lei stessa agitata da una punta d’insicurezza per la congruità dell’impresa, si costruisce un’uscita di sicurezza e inserisce nel romanzo una nota di giallo la quale, moderatamente interessante durante il suo snodarsi, sbraca clamorosamente nella rivelazione: non tanto diversa dall’eventualità che l’assassino di un giallo di Agatha Christie fosse un tal Pasqualino, mai visto nel libro e che tuttavia, giudicato a posteriori, è veramente un fetentone.
Chi accetta di considerare marginale (quale in effetti è, nel reale equilibrio del romanzo) la parte del giallo, ricava però grande emozione nel seguire le vicende alterne di questa libreria, ma soprattutto la tensione morale, il pizzico di follia, l’ossessione dei suoi animatori (che tutti insieme restituiscono una luce particolare anche ai travagli sentimentali e familiari, che con la libreria non c’entrano direttamente).
Per quanto mi riguarda, devo confessare una commozione speciale, giacché in certi passaggi ho rivisto pari pari certe dinamiche, affanni, gratifiche e frustrazioni che hanno accompagnato il cammino, anche interiore, di noi che fondammo Giudizio Universale in versione da edicola. Se mi posso permettere, anche in certi slanci idealistici, e magari nel carico di ingenuità che li colorava, e poi nel dilettantismo disinteressato e divertito nonché nell’ambizione, o forse velleità, maieutica.
Nella storia sono riportati dilemmi e animosità, che non sono certo rimasti estranei alla vita di una rivista di recensioni. In primo luogo l’immancabile quesito: chi siete voi per giudicare? E, subito a seguire il sospetto di snobismo per il nostro dubbio che il mercato non solo non sia il migliore giudice per affermare la qualità letteraria, ma sia in quel settore un avvelenatore di pozzi. Alla fine questa è anche l’idea di Ivan e Francesca (i protagonisti), ed è la vera sfida, oltre che il cuore della questione culturale moderna. Che poi sarebbe stato più redditizio aprire una piadineria in centro lo sapevamo sia Francesca e Ivan che io.
IL MANIFESTO DEL BUON ROMANZO
Ogni aderente si impegna a favorire, attraverso impiego di risorse e proselitismo, la diffusione di forme artistiche che non esprimano gli schemi preconfezionati dal mercato ma facciano circolare idee libere e nuove, capaci di arricchire la personalità di chi ci entra in contatto.
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