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ATTUALITA'

Oltre il petrolio

Breve storia della British Petroleum, tra energie alternative e incidenti clamorosi


di Giulia Stok


 

  

 
2000: l’agenza pubblicitaria Ogilvy & Mother realizza per la British Petroleum lo spot che vedete qui sopra. Immagini di forte impatto scenografico ed emotivo, che sottolineano la bellezza del pianeta e della vita, accompagnate da slogan rassicuranti sulla forza del colosso petrolifero: “oltre il potere, c’è la responsabilità; oltre la crisi, c’è una soluzione”. Fidiamoci dunque della BP, che guarda Beyond Petrol, oltre il petrolio, e procede nella ricerca delle energie alternative. 
 
Marzo 2005, Texas: una delle più grandi raffinerie della Bp negli Stati Uniti esplode, causando 15 morti e notevoli danni ambientali. Nel 2009 l’Osha, organismo che si occupa della sicurezza dell’occupazione, condanna l’azienda a pagare una multa di 87 milioni di dollari per non aver ancora rimediato alle falle nella sicurezza che avevano provocato l’incidente 
 
Agosto 2006, Alaska: la corrosione di un oleodotto a Prudhoe Bay causa la perdita di un milione di litri di gasolio sulle montagne del Nord. La Bp è costretta a chiudere l’impianto, tagliando la produzione di 400mila barili al giorno 
 
Ottobre 2007, Alaska: il dipartimento per la conservazione dell’ambiente segnala una perdita di metanolo tossico nella tundra, all’interno del territorio gestito dalla Bp
 
Febbraio 2009: in un documento di più di 50 pagine, di cui l’Associated Press ha ottenuto una copia, la Bp sostiene che sulla piattaforma Deepwater Horizon è “improbabile o virtualmente impossibile che si verifichi uno sversamento accidentale di petrolio in superficie o sott'acqua a causa delle attività proposte".
 
2 maggio 2010: in seguito al verificarsi dell’improbabile evento, la Bp, avendo bisogno di tutti i mezzi utilizzabili per affrontare la catastrofe, arruola i pescatori della Louisiana, disperati per aver perso il lavoro, promettendo di pagarli 1500 dollari al giorno per collaborare con i loro pescherecci all’operazione di salvataggio di oceano e coste.
 
In Italia questa notizia passa senza clamore su giornali e televisioni. Ma è solo un sorprendente Tg2 a raccontare l’inganno: una piccola clausola in fondo al contratto, che obbliga i firmatari a rinunciare ad ogni diritto di perseguire legalmente l’azienda. Per la Bp, meglio 1500 dollari, ora, che il rischio di un risarcimento multimiliardario quando si conoscerà l’esatta entità del disastro (come capitò alla Exxon nel 1989, quando, per il naufragio della petroliera Valdez, fu condannata a pagare 5 miliardi di dollari).
 
Leggendo il Palm Beach Post, si scoprono altri edificanti dettagli. I pescatori della zona sono in gran parte di origine vietnamita, molti parlano a stento l’inglese, molti altri sono analfabeti. E sui fogli che hanno firmato non c’era traccia del compenso pattuito (che, peraltro, oscillava vistosamente a seconda di chi faceva l’offerta: alcuni capitani di peschereccio si aspettavano fino a 3000 dollari). Anche il portavoce della Bp, David Kinnaird, dice che non erano contratti di lavoro, ma pure formalità, “quelle cose che piacciono agli avvocati”.
 
Di certo, piacciono agli avvocati delle Bp, che hanno tentato il colpo, proponendo a migliaia di analfabeti disperati un modulo in cui l’unica parte dotata di senso legale era quella dove rinunciavano a far causa alla società che li ha rovinati. Ma, per fortuna, il modulo è piaciuto anche ad altri avvocati, che pare siano scesi in massa dagli Stati del Nord offrendo il loro patrocinio ai pescatori. Così il signor Kinnard ha passato la notte a stracciare i finti contratti, e ora pare sia pronto a distribuirne di nuovi, senza clausola e con il compenso pattuito.
 
Dietro questa brutta storia c’è un grumo di contraddizioni. C’è l’ipocrisia delle energie alternative, per le quali stanno facendo ricerca – perché obbligate dagli Stati che non possono o non vogliono investirci altrettanto denaro – solo le multinazionali, che hanno tutto l’interesse a far salire il prezzo del petrolio. C’è la dolorosa contraddizione di uomini del mare costretti a diventare dipendenti della società che il loro mare ha distrutto, invece di farle la guerra, perché per sperare di tornare alla vita di prima la cooperazione è necessaria. Ci potrebbe essere, purtroppo, anche la contraddizione finale: quella di uomini disperati e disillusi che, di fronte a un disastro dieci volte peggiore di quello immaginato, non credono che le acque torneranno mai pescose, e finiscono per sabotare il salvataggio, per poter campare ancora qualche mese con i soldi della Bp.
 
Ecco cosa c’è davvero, beyond petrol.



Tags: beyond petroleum, british petroleum, clausola, contratti, deeowater horizon, disastro ambientale, disastro petrolifero, Giulia Stok, louisiana, pescatori,
04 Maggio 2010


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