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LIBRI - SAGGISTICA

L'America sovietica

La Grande Depressione che arriva dagli Stati Uniti, ieri come oggi. Proprio per capirci qualcosa sulla situazione odierna l'economista Amity Shlaes risale fino al fatidico '29 e alla presidenza Roosevelt. E' lui L'uomo dimenticato che dà il titolo al suo saggio, una reinterpretazione del New Deal e dell'assistenzialismo statale che, anzichè riparare a una crisi, ha messo le basi per un'altra


di Katia Laurannino

 


A sentire parlare di economia spesso e dappertutto, talvolta con interpretazioni fantasiose dei fenomeni finanziari che creano effetti di involontaria comicità, a molti sarà venuto voglia di capire qualcosa di questa crisi, presente e nella maggior parte dei discorsi e, ahimè, anche delle tasche. E magari di capire perché quest’ultimo periodo venga paragonato così spesso a quell’altro del 1929, anch’esso disastroso e proveniente dagli opulenti Stati Uniti, operazione difficoltosa per coloro le cui conoscenze sull’argomento si limitano a qualche capitolo di storia studiato ormai troppi anni fa.
 
L’uomo dimenticato—Una nuova storia della Grande Depressione di Amity Shlaes (autorevole commentatrice economica del Financial Times) è un libro che può aiutarci a comprendere qualcosa dell'oggi, attuando un’analisi minuziosa della storia di Ieri, più precisamente del periodo fra il 1927 e il 1940, gli anni in cui l’economia statunitense, ma anche quelle ad essa collegate, subirono un disastroso tracollo.  La tesi sostenuta da Amity Shlaes è quella che non fu tanto la tanto additata speculazione finanziaria a provocare una caduta di tali dimensioni ma “[…] dal 1929 al 1940, da Hoover a Roosevelt, l’intervento pubblico contribuì a far diventare Grande la Depressione […]”.
 

Protagonista indiscussa di

Franklin-D-Roosevelt-001.jpg

 questo saggio romanzato è la critica all’interventismo pubblicodalla sfiducia nei mercati e il discorso non può che focalizzarsi sul suo più grande fautore, Franklin Delano Roosevelt. Egli, secondo le tesi sostenute da Amity Shlaes, non fece altro che portare avanti una politica economica di massima ingerenza dello Stato nella regolamentazione dei mercati, una manovra già avviata da Hoover con l’approvazione di leggi protezionistiche penalizzanti. L’autrice, non manca di sottolineare i molti punti di contatto fra Roosevelt e Hoover, due presidenti le cui politiche economiche sono sempre state concepite invece come diametralmente opposte.
 
Dunque, sebbene sia stato recepito dalla vulgata come l’azione vincente contro la Depressione, il New Deal rooseveltiano fu dunque responsabile di un prolungamento oltre il dovuto della crisi economica che infatti durò fino all’entrata degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale.
 
Così, sconfessato questo mantra, è possibile, al contrario , vedere come l’America ai tempi di Roosevelt appaia depauperata, miserabile, di certo molto lontana dall’ideale del Sogno americano, della patria dalle infinite possibilità, e, anzi, promotrice di leggi che privavano la libera impresa fino a renderla quasi impossibile; caso emblematico quello della famiglia Schechter, una famiglia di macellai kosher costretta dalla burocrazia della National Recovery Administration a un processo dalle premesse risibili, che sembra essere ambientato più nella Russia sovietica che nella “civilissima”America.
 
D’altronde le voci su una presunta simpatia dei New Dealers nei confronti dell’Unione Sovietica non rappresentano solo una malevola diceria degli oppositori, anzi. E' ben documentato che la maggior parte di loro parteciparono ad una spedizione nell’Urss incuriositi e attratti dal modello dell’economia pianificata di Stalin (ma, a onor del vero, erano anche attratti dalle politiche economiche portate avanti dal fascismo italiano durante gli anni ‘20).
  
National_Recovery_Administration_programs_with_blue_eagle_emblem.jpgL’autrice riesce con estrema raffinatezza a disegnare un ritratto di Franklin Roosevelt che mostra entrambe le facce della medaglia, quello del salvatore della patria , grande comunicatore e sicuro di sé , e quella dello sperimentatore quasi compulsivo, avventuriero, incosciente del rischio, furbo e manipolatore, capace di stravolgere totalmente il senso di una citazione per adattarlo a proprio vantaggio (quello che fece con una frase di William Graham Sumner, che cinquant’anni prima di Roosevelt parlò dell’Uomo Dimenticato, del contribuente del ceto medio che”[…]Lavora, vota, di solito prega, ma sempre paga” insomma, diverso dall’Uomo Dimenticato di cui parlava Roosevelt, l’uomo bisognoso da salvare attraverso progetti statali in grado di incrementare l’occupazione) .
 
Di certo la teso di Amity Shlaes ha una portata rivoluzionaria e si scontra con quelle di altri pur autorevolissimi economisti che sostengono, al contrario, che il New Deal sia durato troppo poco per lasciare davvero traccia di sé; proprio per questo vale la pena di fare questa impegnativa ma interessantissima rilettura di un fenomeno economico tanto complesso quanto, purtroppo, attuale. Così attuale che una frase riferita alla fiducia delle masse nella politica dell’America rooseveltiana pare invece nata per raccontare gli umori odierni di casa nostra; “contava solo cambiare: il paese, come un invalido, gioiva alla semplice idea di potersi muovere” Vi evoca qualcosa?


Tags: Amity Shlaes, Franklin Delano Roosevelt, grande depressione, Katia Laurannino, L'uomo dimenticato, New Deal, usa,
26 Aprile 2012

Oggetto recensito:

Amity Shlaes, L’uomo dimenticato—Una nuova storia della Grande Depressione, Feltrinelli 2012, p 411, 25 euro 

 

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