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LIBRI - NARRATIVA

Rufin, Medio Evo letterario

Non "alto" ma nemmeno di consumo: un romanzo storico come L'Uomo dei Sogni, che racconta le vicende del tesoriere Jacques Court nella Francia conquistata dagli Inglesi sotto Carlo VII, conquista quella terra di nessuno compresa tra una letteratura impegnativa e un po' di sano intrattenimento  


di Marinella Doriguzzi Bozzo

 


Ci sono libri che non si possono collocare con sicurezza sugli scaffali della letteratura alta, e neppure su quelli dedicati al puro intrattenimento commerciale, ma che occupano un ibrido, privatissimo spazio tutto loro in funzione dell'occasionale adesione ai nostri gusti e alle particolari circostanze della nostra vita. Dei primi hanno la capacità di iscriversi nella memoria con echi quieti, dei secondi portano come destino l'eventualità di ritornare carta, senza venire più riletti.
 
Dedicato a chi pensa che abitare nelle proprie fantasie possa salvare dalla mediocrità, e poi si accorge che la vita può essere non solo altrove ma anche altro, L'uomo dei sogni è un romanzo storico depurato da ogni innamoramento specialistico: racconta l'avventura di un individuo realmente esistito, pragmatico eppure sempre volto ai richiami di uno spirito che lo porta a fare carriera senza che le ambizioni secolari rappresentino per lui un desiderio o un valore. L'epoca è quella di Carlo VII (1403-1461) in una Francia appena sgombrata dall'occupazione inglese in seguito al contributo di Giovanna d'Arco, che pone fine alla guerra dei cent'anni. Discusso erede del ramo Valois, Carlo è un uomo diviso in due da un prima e un dopo: disgraziato nel fisico, mentre combatte il nemico e la propria stessa famiglia ostenta le sue brutture e le sue insicurezze, secondo un gioco al ribasso che lo porta a sollecitare la devozione altrui attraverso la compassione; poi, mutate le circostanze, inverte i suoi addendi genetici e comincia ad ostentare l'intelligenza, la cattiveria meschina e la doppiezza che ritiene prerogative del potere.
 
luomodeisogni.jpgAmbiguamente leale suo malgrado, il protagonista Jacques Coeur compie in un certo senso il cammino opposto: è un uomo di umili origini che diventa tesoriere di stato, tesse un'immensa rete di traffici, batte moneta, si arricchisce in modo tale da non potere neppure essere computato, e cade vittima di un gioco che conosce bene e a cui scientemente non sa sottrarsi. Affonda le mani nei fini e nei mezzi di atavici machiavellismi non ancora teorizzati, eppure mantiene la testa orientata ad un sogno umano scevro di dottrine utopiche.

L'idea di Europa non è nemmeno un'espressione geografica, l'Oriente neanche un'opportunità commerciale ma solo disprezzo razziale e religioso, i francesi puzzano ancora (in senso fisico e mentale) di medioevo, mentre lontano altre civiltà fioriscono e si sviluppano. La regola della contrapposizione belluina è l'unica concepibile e solo Coeur sembra comprendere che un umano capitalismo ante litteram è un sistema organizzato di produzioni, commerci, empatie e anche bellezza, oltre che denaro:"...ciò che mi faceva agire era il sogno di un altro mondo, un mondo di luce e di pace, di scambi e di lavoro, un mondo di piacere in cui il meglio degli uomini sarebbe riuscito a esprimersi altrimenti che inventando nuovi modi di uccidere il prossimo. Un mondo verso il quale sarebbe affluito ciò che la terra, in tutti i continenti, produceva di migliore..."
 
Chi pronuncia queste parole è ideologicamente un anomalo e spiazzato prototipo del rinascimento italiano ma anche un contemporaneo di grande esperienza, visto che l'autore Jean-Christophe Rufin è medico, viaggiatore, diplomatico, scrittore insignito del Premio Goncourt nel 2001 per il romanzo Rouge Brésil nonchè fondatore di Medici senza frontiere. Come tanti autori moderni (a partire da Eco che rilancia il genere nel 1980 con Il nome della rosa) respinge l'idea storicistica del progresso, tanto cara agli scrittori dell'Ottocento. Nutrito di buone letture, non adopera le epoche passate come mera cornice (secondo la migliore lezione di Walter Scott) e neppure le travolge a rotta di collo con l'impeto confidenziale proprio di Dumas, bensì attinge piuttosto da Stendhal, dedicandosi all'analisi psicologica dei personaggi e delle atmosfere. E le mette in scena secondo l'operazione di Manzoni, ossia parla del Quattrocento rivolgendosi in filigrana ai lettori di oggi e, pur accogliendo tutti i tecnicismi dell'epoca, evita le impervietà per accumulo di dettagli attuate da Balzac, autore prodigioso che muta la prospettiva dei colleghi rendendo immediatamente storica l'attualità dei suoi tempi.
 
Più simile al John Banville de La notte di Keplero (1981) Rufin non tralascia la realtà sia umile che regale ed ecclesiastica, i suoni, gli odori e i colori dell'occidente francese (in contrapposizione a quelli di un Oriente che nel libro comincia dall'Italia) ma li avvolge intorno alle vicende esterne e introspettive del suo protagonista. Che è il perno romantico eppur razionale di una lunga epopea densa di armi, di potere, di commerci, di passioni e di morte. Anche per lui, a far da spartiacque tra un prima e un dopo, l'incontro con Agnès, amata dallo stesso Re di un amore mai conosciuto prima: fuggevole ritratto di devota peccatrice e snodo determinante di avvenimenti che spingono il protagonista a ripudiare il proprio potere per essere restituito a se stesso, contando i giorni che rimangono pur di riuscire a ripercorrere ancora il ricordo di lei....
 
Non è facile trovare un romanzo, anche di intrattenimento, strutturato con tanta semplice abilità, tale da subordinare gli effetti letterari al fascino delle gesta che racconta. Il fraseggiare è piano, a tratti esaltato da incisi lapidari, e illustra in prima persona un uomo lontano eppure seduto sotto un ulivo greco a mangiare formaggio con il lettore, argomentando anche dei tempi nostri, irrigiditi come allora da uomini che si calano nell'armatura di importanze fittizie. Un libro che non trascura, ma mimetizza felicemente le sue ambizioni politiche, economiche e sociologiche e nel contempo spiega le sue vele avventurose e libertarie da e verso un Mediterraneo antico, mare nostrum, con l'anelito di raggiungere un porto di universalità pacificata, dove stare come semplici uomini che godono dell'unica vita loro concessa.



Tags: Carlo, edizioni e/o, Jacques Coeur, Jean-Christophe Rufin, L'uomo dei sogni, Marinella Doriguzzi Bozzo,
16 Maggio 2013

Oggetto recensito:

Jean-Christophe Rufin, L'Uomo dei sogni, edizioni e/o 2012, 407 p, 18,50 euro

 

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