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ATTUALITA'

Call center, paradisi telefonici

E' l'altra faccia delle vicende Eutelia e Phonemedia: le grandi aziende chiudono in Italia e aprono al'estero, dove trovano lavoratori a costi e condizioni favorevoli. Così, nonostante la crisi, i gestori di telecomunicazioni aumentano i fatturati. E noi, da dipendenti o da semplici utenti, abbiamo solo da perderci


di Alessandra Testa


Chiamano dall'altra parte dell'Adriatico per proporre in un italiano stentato tariffe telefoniche agevolate. Si presentano come Antonio o Giovanni, ma in realtà bastano poche frasi per comprendere che quel ritornello lo hanno imparato a pappagallo e che sulla loro carta di identità alla voce “nato a” figurano piccoli e grandi cittadine di paesi come l'Albania e la Romania, dove il costo del lavoro è pari circa ad un quarto di quello italiano. Nelle aziende telefonano in orario di ufficio, nelle abitazioni ad ora di pranzo o di cena. Si qualificano come operatori delle grandi compagnie nazionali, ma la cornetta la alzano da Tirana, Bucarest o Tunisi.
 
È in questi mercati del lavoro low cost, infatti, che grandi gestori delle telecomunicazioni stanno progressivamente sbarcando, con una sempre meno silenziosa politica di esternalizzazioni e delocalizzazioni. In pratica, buona parte delle attività che fino all'altro ieri erano svolte nei call center nostrani (contratti commerciali, pratiche amministrative, mero telemarketing) vengono affidate ad imprese di outsourcing italiane e poi, tramite subappalto delle stesse, verso aziende già operanti in Romania, Albania, Tunisia, Turchia, persino Sud America.
Il processo è iniziato da mesi in modo sotterraneo, con un capillare battage di annunci di lavoro pubblicati dalle aziende sui quotidiani dei paesi cosiddetti emergenti. Mentre in Italia vive in sordina, con le compagnie telefoniche che tacciono, e solo i sindacati e le associazioni dei consumatori – tempestate dalle segnalazioni di molti cittadini infastiditi dall'invadenza di questo meticcio telemarketing – impegnati a contrastarlo.
 
Lo scandalo delle “scatole vuote” rimbalzato sulle cronache con le cessioni dei call center di Eutelia ed Agile, insomma, è solo la punta dell'iceberg. La reazione a catena che verrà scatenandosi nei prossimi mesi resta ancora sotto traccia come in una sorta di Giano bifronte: da una parte il progressivo svuotamento dei call center italiani con migliaia di posti di lavoro a rischio, dall'altra il continuo avvio di nuove postazioni nelle aree dell'Europa orientale, africane o sudamericane dove nascono, seppur prive di tutte le minime tutele sindacali, nuove opportunità di lavoro per centinaia e centinaia di giovani.
A formare le nuove leve con missioni in loco, indovinate un po', gli italiani altamente specializzati che paradossalmente rischiano di perdere il posto. A dispetto delle norme (la delibera 79/2009) appena stilate dall'Agcom, l'autorità garante per la comunicazione, che imporrebbero alle imprese delle telecomunicazioni maggiore trasparenza nella gestione e nello sviluppo delle licenze, e più attenzione nella qualità dei servizi erogati ai consumatori, la deregulation è ormai sfrenata.
 
Per questo motivo la Slc-Cgil e la Federconsumatori, sguinzagliando i propri delegati nelle diverse compagnie telefoniche e incontrando i “formatori” che le società mandano nei nuovi mercati, hanno dato vita ad un vero e proprio lavoro investigativo da cui emerge che il settore sta vivendo di fatto su una bomba ad orologeria la cui miccia è data dalla corsa all'abbattimento dei costi. Se Federconsumatori è allarmata soprattutto per la perdita di qualità dei servizi e per la violazione della privacy degli utenti, la Cgil ha davanti a sé lo spettro di quella che rischia di diventare una nuova ondata di licenziamenti. Per questo motivo ha avviato una campagna nazionale, che però non trova molta eco sulla stampa, con cui chiede la moratoria di tutte le delocalizzazioni del settore, in particolare delle attività di customer care e di back office.
Il segretario nazionale Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, parla di 4mila posti a rischio in Italia e, anche se le loro strategie di mercato sulla carta non hanno nulla di illegale, mette sul banco degli imputati per comportamenti poco trasparenti le grandi compagnie telefoniche nazionali: da Telecom a Vodafone, passando per Wind, H3G, Fastweb, Bt Italia e Sky che, tramite esternalizzate come Comdata, Almaviva Teleperformance o E-care (che a loro volta si affidano a piccole società all'estero), creano una rete di matrioske in cui è difficile distinguere responsabilità e catena di comando. Le motivazioni? “Aumentare gli attuali profitti a vantaggio degli azionisti, come risposta ad un calo dei guadagni”. Con un piccolo grande nonsense: il settore continua, nonostante la crisi che tenta di cavalcare, a generare profitti e liquidità (+1% di fatturato nel 2009).
 
A chi vive questi nuovi operatori dall'accento straniero come inopportuni molestatori, sciacalli della privacy e “ladri” di numeri di telefono non liberamente concessi, ci sentiamo di dare dunque un consiglio: munitevi di dizionario. E cercate alle voci “dumping”, “outsourcing” e “delocalizzazione”. I termini sono da globalizzazione cattiva (proprio come il colesterolo), ma dietro pulsano vite reali: dipendenti italiani che nella migliore delle ipotesi verranno ceduti a società esterne e, nella peggiore, prima sfiniti con contratti di solidarietà, cassa integrazione e mobilità incentivata, poi licenziati per essere rimpiazzati da nuovi “schiavi” del profitto dotati di microfono e cuffiette ed educati prima alla gentilezza e poi all'insistenza per un minimo premio di produzione.
Per dirla con Rita Battaglia, vice presidente di Federconsumatori, “una nuova guerra fra poveri è scoppiata”. Però, è l’amara profezia, non ci saranno vincitori, ma solo perdenti.


Tags: agcom, agile, Alessandra Testa, aziende telefoniche, call center, cgil, delocalizzazione, eutelia, federconsumatori, phonemedia, privacy, sindacati,
26 Febbraio 2010

Oggetto recensito:

LA DELOCALIZZAZIONE DEI CALL CENTER

Consiglio in dvd: Fuga dal call center di Federico Rizzo, ex interinale. Se i protagonisti vi sembreranno vivi ma un bel po' disperati, credeteci: il peggio deve ancora arrivare.

giudizio:



8.37
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