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SPECIALE 150 ANNI/3: L'ARTE

Lo Stato dell'arte

coccarda.jpgBen più di libri e giornali, fu la pittura a fare da "mass media" per il popolo del Risorgimento. I migliori pennelli d'Italia riportavano avvenimenti e personaggi direttamente dai campi di battaglia, dando vita ad un immaginario che, da qualche parte, sopravvive ancora oggi


di Francesca Castellani

 


“Si attraversa una grande metropoli invecchiata nella civiltà…e gli occhi sono tratti verso l’alto, sursum, alle stelle; e sulle piazze, agli angoli degli incroci, personaggi immoti, più grandi di quelli che passano sotto di loro, raccontano in un linguaggio senza parole le fastose leggende della gloria, della guerra, della scienza e del martirio. Anche l’uomo più indifferente, più disgraziato o più vigliacco, mendicante o banchiere, si lascia per un istante conquistare dal fantasma di pietra”…
 
Quanti di noi sanno ancora alzare gli occhi e raccogliere il messaggio di quel popolo silenzioso che, dalle piazze e dalle strade, ci invita all’esempio, all’identità e alla memoria? La pagina di Charles Baudelaire è del 1859, quando in Italia si riaccendeva la seconda guerra di indipendenza interrotta, senza gloria alcuna, dall’imperatore francese a Villafranca. Oggi la potenza di questi fantasmi sembra spenta. 
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Eppure l’Italia che piange sul monumento ad Alfieri di Canova, i Daniele Manin e i Carlo Alberto di pietra, le allegorie delle Cinque Giornate di Milano e Venezia che si libera dalla catene, continuano ad abitare tra noi, in mezzo alla nostra fretta, e provano a offrire un’identità e un orgoglio a un paese (diciamolo) perlomeno smarrito. Come tanti della mia generazione, che a suo tempo ha contestato le retoriche nazionaliste, non l’avrei mai detto: ma tra i tanti motivi per cui, secondo me, dobbiamo essere grati alle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia c’è anche l’invito a riappropriarci di un linguaggio comune intorno a dei valori, ed apprezzare proprio quella retorica che sembra tornata alla sua prima missione: condensare le passioni di un messaggio ancora cruciale.
 
Serviva proprio a questo l’arte “impegnata” del Risorgimento: a comunicare, meglio e più diffusamente dei proclami e dei libri, il sentimento comune, l’entusiasmo e la spinta al sacrificio poggiati su un valore che per i più era assolutamente nuovo: l’Italia unita. Certamente il Risorgimento ha avuto la sua epica figurativa, a volte anche ridondante, però necessaria. Di questa retorica avevamo bisogno, come dell’inno di Mameli mormorato da Benigni. Quando non c’erano la televisione e internet quale linguaggio, quale mass media poteva parlare a tutti, anche a chi non sapeva leggere; e poteva convincere, raccontare, commuovere, infine consolare, meglio dell’arte?
 
Certo la pittura, con il realismo e la sensualità dei suoi colori, il dinamismo delle scene, persino la possibilità di farsi “al presente” ha saputo essere meno celebrativa ed emotivamente più efficace della sua sorella scultura. Una pittura che prima ha preparato il terreno raccontando col fervore e la rabbia dell’oggi le scene del passato: gli esuli greci di Parga, i volontari della crociata, l’onore dei Vespri Siciliani, dipinti con tutto il talento e una persuasiva qualità da “fiction” da Francesco Hayez. 
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Sempre Hayez (il Verdi della pittura potremo dire, per la capacità di trascinare gli animi) ha saputo prestare l’appeal della carne all’allegoria delle Cinque giornate (Meditazione. L'Italia del 1848, 1851, sopra a sinistra): una giovane dal seno scoperto, la veste bianca e una profonda ma non domata malinconia, a rappresentare l’Italia nel 1848. Ecco i moti popolari, le prime guerre di indipendenza, il ’48, il ’59; ecco i campi di battaglia, il dolore e la speranza nelle sconfitte, i sacrifici e le vittorie, raccontati dal pennello di Gerolamo Induno, Federico Faruffini, Domenico Cammarano, Telemaco Signorini, più tardi Giovanni Fattori…. Ma soprattutto ecco gli addii, i saluti, i rari ritorni; le lettere dal fronte, i bollettini di guerra letti intorno al cerchio del focolare, i sentimenti di quanti combattevano stando a casa. Il Risorgimento è stato anche loro. 
 
Del resto non veri soldati ma volontari, clandestini e fuorilegge erano i combattenti per l’indipendenza, e prima di ogni altra cosa avevano bisogno del sostegno civile, di riconoscersi nella comunità, di uscire allo scoperto e giustificare il loro sacrificio davanti agli occhi dei loro cari. Questo doveva spiegare, sostenere, raccontare l’arte; non l’artificio della gloria ma la “pietà” e l’onore, non scontato, di una guerra incerta.
 
Un quadro per tutti: le Cucitrici di camicie rosse del macchiaiolo Odoardo Borrani, dipinto quasi “in cronaca” nel 1863 (sopra, a destra), all’indomani dell’impresa dei Mille e della delusione dell’Aspromonte. Quattro donne lavorano d’ago, in un silenzio composto e severo; dalla finestra filtra una luce bianca a illuminare la semplicità della stanza e degli animi. Alla parete, un ritratto di Garibaldi: il vero eroe del popolo, un eroe vero, capace di abbandonare la scena senza quasi parlare e senza niente accettare per ritirarsi a Caprera, in un casa che nessuno – men che meno a sua insaputa – gli regalò, e anzi acquistò da sé. In un proclama alle donne del 1862, nelle città dove passava, Garibaldi aveva chiesto proprio questo: una camicia rossa da ciascuna, “quella magica camicia” che aveva trascinato i Mille in Sicilia e ora doveva spingere a Roma e Venezia. Bisognerà aspettare il 1866, la terza guerra di indipendenza, e poi il 1870, quando non saranno più i volontari in camicia ma i bersaglieri a conquistare Roma.
 
mazzini_morente.jpgDi Garibaldi in camicia rossa ha lasciato un ritratto, intensissimo, il garibaldino Silvestro Lega (1861); ne furono ricavate stampe da appendere nelle case insieme alle immagini dei cari, alle madonne e ai santi. Ma vorrei finire con un altro ritratto di Lega, che avrebbe anch’esso meritato di essere appeso nelle case e nelle scuole del regno. Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini (1873, a sinistra), spirato a Pisa nel 1872: solenne della sua stessa semplicità, senza alcuna retorica, la nuda tappezzeria di una stanza modesta e il viso scavato ma intenso di un vecchio che muore solo.



Tags: 150 anni, Alessio lega, arte risorgimentale, Cinque Giornate, Francesca Castellani, Francesco Hayez, Giuseppe Garibaldi, giuseppe mazzini, Speciale Unità d'Italia,
17 Marzo 2011

Oggetto recensito:

L'ARTE IN ITALIA

 

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