Clausola compromissoria, e a volte anche dimissioni in bianco: i lavoratori potranno essere costretti a siglarle insieme al contratto di assunzione. Ecco quali sono le nuove norme che aggirano lo Statuto. E perché Napolitano non le ha ancora approvate
di Alessandra Testa
Immagina, dopo anni e anni di precariato, di poterti finalmente sedere al tavolo con un datore di lavoro per firmare l'agognata assunzione. Non stai più nella pelle dalla gioia quando, sul più bello, il tuo futuro capo ti mette davanti un foglio, che oltre al tuo contratto prevede una voce che ti pare quanto meno prematura. È la cosiddetta clausola compromissoria con cui ti devi impegnare, ancora prima di prender possesso della tua postazione, a non ricorrere al giudice del lavoro qualora dovesse aprirsi un contenzioso con l'azienda e a scegliere, ora per allora, di far decidere le sorti dell'eventuale causa ad un collegio arbitrale. Non è tanto l'arbitrato in sé a farti dubitare. Sai benissimo che questa possibilità, anche se poco utilizzata, è già prevista dalla legge. Quello che ti turba è il fatto che la si voglia far passare come una tua scelta volontaria e che devi deciderlo adesso, irrevocabilmente. Mettendo tutto nero su bianco davanti ad una commissione di certificazione.
“È un vero e proprio ricatto - pensi - Sa benissimo che con questa crisi non posso permettermi di fare altrimenti”. Non hai nemmeno il tempo di rielaborare il tuo timore che, zac!, eccoti un altro foglio. È una lettera di dimissioni in bianco, qualora malauguratamente (“Ma come, non dovrebbe essere il momento più bello della mia vita?”) rimanessi incinta. “Bel ricatto - ripensi - questo lavoro mi serve. Eccome se mi serve”. Hai 40 anni e un figlio lo desideri da almeno 10. Da quando sei costretta a vivere di lavoretti. Lui lo sa bene, porca miseria, molti li hai fatti per lui. Tenti di dir qualcosa. Ti lancia uno sguardo che capisci al volo: o mangi questa minestra o salti dalla finestra. Se non firmi, oltretutto, non ti chiama più nemmeno per collaborare da esterna. “Da una parte il lavoro, dall'altra niente. Da una parte il lavoro, dall'altra niente”, ripeti ossessivamente tra te e te mentre il sudore comincia a colarti dalla fronte. Assunzione, clausola compromissoria e dimissioni in bianco, che fare? Non hai scelta e poi “mica ci troveremo in disaccordo subito”, azzardi. Col cuore in gola, accetti. Ma già lo sai: sarai fregata ad libitum. Il suo.
Scene di questo tipo accadono già, soprattutto ai giovani più ricattabili e meno consapevoli dei propri diritti. I sindacati le denunciano da anni e qualche causa, seguita però da un giudice del lavoro, è stata pure vinta. Ora però tale costume potrebbe diventare la norma. E le aziende potranno esercitare pressioni, senza nemmeno andare contro la Costituzione (la scelta volontaria). Ad aprire uno scenario del genere è il “Collegato Lavoro alla Finanziaria” approvato, in sordina e dopo anni di iter legislativo, lo scorso 3 marzo dal Parlamento. A parlare chiaro, in particolare, sono tre articoli: il 30, il 31 e il 32. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che sembrava intoccabile dopo la mobilitazione dei 3 milioni di italiani al Circo Massimo nel 2002, viene aggirato senza nemmeno essere nominato. Lasciando alle aziende, con più o meno di 15 dipendenti poco importa, la libertà di licenziare senza giusta causa appellandosi ad un vago principio di equità. E senza nemmeno la possibilità di reintegro (al massimo un rimborso). I tre articoli di fatto modificano il diritto e il processo del lavoro, limitando le tutele previste dai contratti collettivi ed estendendo la condizione di precarietà. Come? Ridimensionando il potere dei giudici e privatizzando la giustizia del lavoro. L'arbitrato diventa praticamente obbligatorio e si profila anche come un costo. Se lo stipendio del giudice era a carico dello Stato, ai due avvocati che seguono le parti e ai tre arbitri giudicanti spetta un compenso. Chi paga? La parte che soccombe, ovviamente.
Quella dell'arbitrato è solo la punta dell'iceberg di questa politica di indebolimento dei diritti dei lavoratori a favore delle imprese. Nel “Collegato lavoro” è previsto, infatti, anche l'accorciamento dei tempi per impugnare un licenziamento, un trasferimento o ancora il recesso da parte del committente di contratti precari prima della scadenza. Se prima l'unico limite per l'apertura di una causa era la prescrizione dei 5 anni, ora l'impugnazione, da fare sempre entro i 60 giorni dalla comunicazione (che ora può essere anche orale rendendo più difficile dimostrare la data esatta), è inefficace se entro 180 giorni non è seguita da un'udienza in tribunale o se non viene avanzata la richiesta di conciliazione. Prima di queste disposizioni, inoltre, il governo aveva già introdotto, sempre lontano dai riflettori, tutta una serie di piccole picconate alla legislazione in materia. La già citata abrogazione delle norme che tutelavano dalle dimissioni in bianco è solo la prima della lista (decreto legge 112/2008). Sempre con lo stesso decreto legge è stato eliminato l'obbligo di precedenza all'assunzione a tempo indeterminato per quei collaboratori che già ricoprivano la mansione da attribuire e sono state reintrodotte le forme contrattuali, previste dalla legge Biagi, del lavoro a chiamata e dello staff leasing. Ci sono poi novità in materia di sicurezza e infortuni sul lavoro con, tanto per citarne alcune, la cancellazione della responsabilità solidale dei committenti in materia d'appalti e la semplificazione degli obblighi prevista dal testo unico (dl 81 e 97/2008).
La strada, insomma, è segnata. Alle aziende si dà sempre più carta bianca. L'unica possibilità di aggiustamenti è affidata dallo stesso “Collegato Lavoro” alla contrattazione collettiva: le nuove norme non sono cioè subito operative, ma dovranno essere previste dai contratti di categoria entro 12 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Altrimenti, saranno rese attuative da un apposito, l'ennesimo, decreto ministeriale. Un'intesa che metta d'accordo tutti è però difficile: i sindacati non sono più i tre moschettieri di un tempo, che agivano secondo la filosofia del “tutti per uno, uno per tutti”. Se così fosse avrebbero la forza per introdurre i paletti necessari all'azione di Governo e Confindustria. Tra l'altro, Cisl, Uil e Ugl hanno già dato parere positivo alle linee guida del provvedimento mentre la Cgil, dai tempi degli accordi separati, è sola anche nel proclamare gli scioperi generali. In tutto questo, il presidente Napolitano non ha ancora firmato la norma, ma una nota del Quirinale di qualche giorno fa ha smentito le indiscrezioni che lo vedevano orientato su un parere negativo.
In quello zoo che è ormai diventato il mondo del lavoro, dunque, al lavoratore non resterà che ingaggiare una lotta senza esclusione di colpi contro i suoi simili e puntare tutto sul proprio interesse. Così farà, inconsapevolmente, il gioco delle imprese. Divenuto singolo, contratterà per sé e non per gli altri e farà lievitare le differenze retributive e di trattamento fra colleghi che svolgono le stesse mansioni. Su aumenti, ferie e buoni pasto, insomma, la legge del più furbo potrà essere osservata anche dall'ultimo dei poveri diavoli.
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le nuove norme in materia di lavoro previste dal “Collegato lavoro alla Finanziaria” del Governo
Commenti
Con la solita attenta
Con la solita attenta bravura, Alessandra ci parla dell'ennesima "picconata" ai lavoratori. "...mentre la Cgil, dai tempi degli accordi separati, è sola anche nel proclamare gli scioperi generali".
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