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LE GUIDE

Guida a 49 martiri della storia d'Italia

E' uscita la quarta guida di Giudizio Universale: a 150 anni dall'Unità, una galleria non convenzionale di eroi nazionali. Senza escludere Risorgimento e Resistenza, il libro considera anche e soprattutto quelli che si sono opposti alla mafia e al terrorismo, o le anonime vittime di tragedie collettive come la strage di Bologna o il Vajont. Ecco alcune voci in anteprima per i nostri lettori


di Roberto Alajmo e Lidia Ravera

 


martiri_web_senza bollino.jpgDalla A di Ilaria Alpi alla Z di Anteo Zamboni, passando per Matteotti e Moro, Fausto Coppi e Stefano Cucchi, il piccolo Alfredino e il generale Dalla Chiesa
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
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Riportiamo integralmente due voci della guida
 
 
Ilaria ALPI, giornalista (1961-1994)
 
La ricerca della verità. La ricerca di una verità. È sempre difficile. In guerra di più. Tu non stai né da una parte né dall’altra. Ma si può, in guerra, non stare da una parte né dall’altra?
 
Io sto dalla parte della verità.
 
Brava, dillo, così ti fai sfottere da tutti. I giornalisti non sono filosofi. Stanno dalla parte delle notizie, se proprio devono stare dalla parte di qualcosa. Difficile dirlo che rapporto c’è, fra la verità e le notizie. E poi, anche la verità: non è al di sopra delle parti. Pensi che ti daranno un premio, se arrivi fino in fondo a questa storia? Pensi che ti diranno grazie? La verità non piace a tutti. Non tutte le verità piacciono a chi ti paga per raccontarle. 
 
Quando è arrivata quella telefonata, anche Miran ha detto “andiamo”. Ma lo sai dov’è l’hotel Amana? È lontano. Non è soltanto lontano. È dall’altra parte della città, devi attraversare la zona verde. Si sparano addosso da una parte e dall’altra. È rischioso. È tutto rischioso qui, a Mogadiscio. Restore hope. Danno sempre dei nomi carini alle guerre. Era rischioso l’anno scorso in Bosnia. È rischioso in Somalia. È rischioso occuparsi di traffico d’armi, di rifiuti tossici. Sai da dove parte la tua pista, ma non sai dove porta.
 
Tuttavia sono riusciti, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ad andare all’appuntamento. Che cosa abbia raccontato, la persona che ha fissato l’appuntamento, in quel luogo, a quell’ora, che cosa abbia scritto sul suo taccuino Ilaria, nessuno lo saprà mai. Era eccitata, dopo l’incontro, quando è risalita sulla macchina? Era spaventata? Aveva fame, aveva voglia di farsi una doccia, aveva fretta di levarsi di lì, di tornare in una zona più sicura? Quando si è accorta che la sua macchina era seguita? Se l’aspettava? Forse, fino all’ultimo, ha sperato in un rapimento. Il Governo italiano avrebbe trattato per liberarla. Lei, una giornalista della Rai. Giovane. Donna.
 
Nessuno pensa che sta per morire. Non soltanto i giovani. Nessuno. Nemmeno i moribondi. Devi essere condannato alla fucilazione, per pensare alla tua morte. Condannato dalla legge di un Paese dove quella pena sia prevista. Processato e condannato. Quando puntano l’arma contro di lei, Ilaria obbedisce. Si accuccia sul sedile posteriore della Land Rover. Indossa una camicetta bianca, calzoni rossi. Ha i capelli legati. Sembra una ragazza. Si sente una ragazza. Non si uccide una ragazza. 
 
Colpi sparati da distanza ravvicinata: un’esecuzione. Colpi sparati da lontano: un rapimento finito male. Una raffica di colpi, colpi di kalashnikov: una strage. Versioni diverse. Lo vedi com’è sfuggente, la verità…
 
Sulla scena del crimine si sono avventati tutti con le peggiori intenzioni: confondere, cancellare, nascondere dati.
 
Ilaria Alpi aveva trovato qualche cosa che non avrebbe dovuto trovare, sapeva qualcosa che non avrebbe dovuto sapere. È sempre più difficile, distinguere i buoni dai cattivi. “I nostri”, dagli altri. Chissà se lo sapeva.
 
È morta il 20 marzo 1994. Aveva 33 anni. Martire di un secolo che stava finendo. Nel disordine.
 
(Lidia Ravera)

 
 
 
 
 
Bruno BEATRICE, calciatore (1948-1987)
 
Sente le forze che lo abbandonano, anche quelle che negli ultimi mesi gli hanno consentito di provare dolore. È una specie di sollievo. Si guarda i tre buchi sul braccio sinistro. Sono di colore viola. Viola come la maglia della Fiorentina. Quasi quasi gli viene da sorridere.
 
 
Bruno Beatrice ha 39 anni quando muore, il 16 dicembre 1987. Si è ritirato da qualche anno, dopo aver giocato in serie A con Fiorentina e Ternana. In carriera è stato un giocatore di prima categoria e medio calibro, un centrocampista di quelli che corrono soprattutto per consentire ad altri di risparmiare il fiato e pensare il gioco. Nella Fiorentina gioca dal ’73 al ’76, e il suo allenatore si chiama Carlo Mazzone. Quando il suo corpo finisce di essere demolito dalla leucemia mieloide, la moglie non riesce a rassegnarsi al destino. Reagisce ricostruendo punto per punto quella che, secondo lei, è la verità.
 
Gabriella Beatrice racconta che durante i ritiri il marito veniva sottoposto a lunghe sedute di flebo e che la società gli imponeva di assumere continuamente farmaci cardiotonici, come il Micoren, e altri a base di corteccia surrenale, come il Cortex. Nel ’76, poi, gli viene somministrata una cura intensiva di raggi Roentgen, per consentirgli di recuperare il prima possibile dalle conseguenze di una pubalgia particolarmente ostinata. 
 
Nello Saltutti – suo amico, oltre che compagno di squadra – glielo dice sempre: “Bruno, non esagerare con quelle punture”. Ma lui durante il ritiro è sempre sotto flebo, dal venerdì sera alla domenica; lo hanno convinto che con quelle correrà il doppio. Bruno Beatrice è uno che già al naturale va molto forte, più forte di qualsiasi avversario. Per questo Saltutti gli chiede: “Ma che bisogno hai di farti iniettare tutte quelle schifezze?”. Bruno Beatrice risponde di farsele fare per la carriera, per far stare bene la famiglia in futuro. E del resto tutti gli dicono: sono solo vitamine, prendile e starai meglio.
 
Saltutti è uno di quelli che ci stanno più attenti, per una questione di partito preso più che per effettiva convinzione. E ciononostante muore a 56 anni, nel 2003, d’infarto. Nel corso degli anni muoiono in molti, di quella squadra. Ugo Ferrante: tumore alle tonsille, 2004; Giuseppe Longoni: vasculopatia cardiaca, 2006; Adriano Lombardi: morbo di Gehrig, 2007; Massimo Mattolini: già trapiantato di reni, 2009. Poi ci sono quelli che sono riusciti a sopravvivere: Domenico Caso ha avuto un tumore al fegato; Giancarlo Antognoni una crisi cardiaca; Giancarlo De Sisti un ascesso frontale al cervello. Gli ex-giocatori di quella Fiorentina risultano tutti fin troppo sfortunati.
 
Molta parte della storia di Bruno Beatrice si svolge dopo la sua morte: la parte più interessante e istruttiva. Nel 2005 la procura di Firenze apre un’indagine. I Nas la chiudono nel 2008, l’ipotesi è di omicidio preterintenzionale. Carlo Mazzone è indagato assieme ad altre due persone. Il reato però ormai risulta prescritto. Ricorda Gabriella Beatrice: “Quando Bruno si è ammalato io non sapevo neppure che cosa fosse il doping. Certo, mi stupiva il fatto che quando era in ritiro mi tenesse al telefono per tre quarti d’ora dicendo che tanto aveva tempo, si stava facendo delle flebo. Mi faceva impressione che avesse tre buchi viola a forma di triangolo sul braccio sinistro che non andavano mai via. E mi lasciava perplessa anche il fatto che dopo le partite restasse sveglio e agitatissimo per due giorni. Ma non avevo mai collegato queste stranezze alla sua malattia”. 
 
Il caso Beatrice non è isolato, nel mondo del calcio. A distanza di qualche anno si verifica una serie di infarti, ictus, leucemie fulminanti, tumori, reni che smettono di funzionare, imprecisati malesseri improvvisi. Ci sono anche sette giocatori della grande Inter degli anni ’60 che sono morti per malattie rare. Armando Picchi – nel ’71, per un tumore alla colonna vertebrale – è stato il primo, e non aveva neanche 36 anni. Poi ci sono stati Carlo Tagnin, Marcello Giusti, Mauro Bicicli e Fernando Miniussi. C’è chi in questa lista mette pure Giacinto Facchetti.
 
Qualche dubbio viene per forza: il destino è un’altra cosa.
 
(Roberto Alajmo)
 
 
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Roberto Alajmo e Lidia Ravera
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18 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

 

 

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