Gli appunti di viaggio firmati dai grandi nomi della letteratura italiana. In Qui la meta è partire, il filologo Giuseppe De Marco recupera gli scritti di Ungaretti, Vittorini, Piovene e dell'autore del Pasticciaccio. Un accorto itinerario critico che diventa un viaggio a sua volta
di Stefano Nicosia
Scrivere di viaggi è sempre pericoloso, gli agguati dei cliché possono cogliere l’esploratore più sperimentato, il globetrotter meglio equipaggiato. Scrivere sulle scritture di viaggi altrui, invece, implica sì sguardo diverso, ma richiede ad ogni modo una capacità simile a quella del viaggiatore, ed è quella che Giuseppe De Marco esercita in questa piccola ma densa raccolta di saggi, posti sin dal titolo sotto il viatico ungarettiano dell’Allegria (che in origine si intitolava Allegria di naufragi: ma quello è un altro tipo di viaggio).
Ad Ungaretti, infatti, è dedicata la prima parte del libro, che esplora alcuni ricordi di viaggio del poeta nel Cilento e in Etruria (La rosa di Pesto e Viaggetto in Etruria), all’inizio degli anni Trenta. De Marco meticolosamente dà conto delle circostanze del viaggio e della redazione dei testi, prima di affrontare l’interpretazione di queste prose meno conosciute del poeta dell’Allegria, con piglio saldo e appassionato. Le argomentazioni dell’autore sono fitte e precise, e ingaggiano il lettore in una lettura che dispiega non soltanto il controluce necessario a leggere tra le righe delle prose, ma una piccola biblioteca di riscontri testuali, richiami ed echi.
I brani ungarettiani offerti all’attenzione del lettore danno inoltre l’opportunità di orientarsi, seppur per sprazzi, in una tipologia testuale solitamente trascurata in una lettura più orientata sulla poesia. Si tratta di pagine in cui la realtà viene sublimata in immagini dall’alto tasso lirico (tanto alto da ritiro della patente), in cui un viaggiatore antirealistico si abbandona a pensosità a tratti stucchevoli. De Marco, con l’obbligo del còlto esegeta, accoglie il vagare del poeta con la serietà che la sua scrittura necessita, chiosando questa "geografia mitico-lirica" come occasione per un "viaggio inteso quale iter della scrittura, amalgamatasi in un processo di osmosi tra poesia e prosa e/o all’inverso" (p. 36). Naturalmente, al netto del gusto personale, che ci si permette qui di esercitare su Ungaretti, le prose di viaggio sono un interessante campione di un esercizio ininterrotto sulla propria memoria culturale (come ricorda De Marco), che nello sguardo di viaggiatore filtra ed amplifica liricamente – anche nella prosa – la tradizione occidentale, e l’età classica su tutte.
Con Gadda si apre invece la seconda parte del libro, introdotta da una breve analisi di un suo testo poetico del 1921, che si snoda poi attraverso le Meraviglie d’Italia dell’autore del Pasticciaccio. Le pagine di De Marco seguono l’itinerario di questi scritti giornalistici degli anni ’30, in cui – a differenza di Ungaretti, per esempio – lo sguardo straniante mette in luce aspetti nascosti e fuori dalla comune lettura del reale, piuttosto che sovrapporre ad esso una realtà parallela e immaginifica. A questi reportage De Marco prende le misure con estrema cura, cercando di restituire un posto ad ogni singola tessera della composizione gaddiana, cercandone gemelle in altri testi o sottolineandone le sfumature significative, impegno non da poco in questa ricchissima materia linguistica.
A Guido Piovene ed Elio Vittorini sono invece dedicati gli ultimi saggi del libro, che analizzano testi di nuovo oscillanti tra scrittura giornalistica e artistica. Il Viaggio in Italia di Piovene è un’occasione per verificare come il viaggio conduca alla creazione letteraria, e quanto labili siano eventuali confini tra due tipi di scrittura. De Marco vede in questi scritti un’impronta e un habitus mentale propriamente artistico, e li analizza attraverso una campionatura significativa della scrittura dell’autore vicentino, che consegnava a suoi lettori una Italia che non esiste più, e che forse – visto l’alto tasso letterario della sua scrittura, così influenzata parrebbe da uno sguardo pittorico – non è mai esistita.
Così come sono in bilico tra realtà e trasfigurazione (cifre della scrittura di viaggio, del resto) le Città del mondo di Vittorini, opera scritta all’inizio degli anni Cinquanta ma pubblicata postuma nel ’69 (con cura di Calvino, che dal canto suo di città, invisibili ma anche concretissime, se ne intendeva). La topografia siciliana, qui, sebbene salda e puntuale subisce ancora una volta una rilettura quasi mitizzante, che tuttavia tiene dentro anche le asprezze del peregrinare dei protagonisti del libro.
È nel segno del 'viaggio mitico-utopico' (p. 138) che si conclude questa rassegna di scritture di viaggi, che pare non nascondere l’ambizione di essere viaggio a sua volta, di conservare insomma lo spirito di attraversamento di luoghi diversi conservando la memoria di altri luoghi ancora, con lo spirito di fare di ogni arrivo un nuovo punto di partenza.
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Giuseppe De Marco, Qui la meta è partire. Scritture di viaggio e sguardi di lontano nel Novecento italiano, Marsilio 2012, p. 160, 18 euro
L'autore: Giuseppe De Marco (Omignano Scalo - SA) ha orientato i suoi interessi di studi prevalentemente su Dante, sulla letteratura italiana del Cinquecento, del Novecento e sulla letteratura comparata, con specifico riguardo all’indagine tematico-imagologica, privilegiando l’analisi testuale. Ha collaborato e collabora con riviste specializzate nazionali ed internazionali (Studi Danteschi, Studi Novecenteschi, Filologia & Critica, Chroniques Italiennes, Annali d’Italianistica, Strumenti Critici, ecc.). Tra le sue ultime pubblicazioni si segnalano: Caproni poeta dell’antagonismo e altre occasioni esegetiche novecentesche (Il Melangolo 2004); Le icone della lontananza. Carte di esilio e viaggi di carta (Salerno Editrice 2009); Il sorriso di Palinuro. Il visibile parlare nell’invisibile viaggiare di Ungaretti (Studium 2010).
Nota bene: dal momento che ai familismi siamo fortemente contrari, segnaliamo che non solo il Giuseppe De Marco in questione non è il Giuseppe De Marco nostro recensore, ma non gli è nemmeno imparentato. Nè a lui, nè al Dario De Marco nostro redattore, il quale a sua volta non è imparentato con il Giuseppe De Marco nostro recensore, che, lo ricordiamo, non ha legame alcuno con il De Marco autore di cui sopra...
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