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LIBRI - NARRATIVA

Il lieto fine del Romanzo

Quello ottocentesco, che l'americano Jeffrey Eugenides cerca di resuscitare con La Trama del Matrimonio: una (lunga) storia d'amore a tre, che si conclude bene ma senza nozze. Cinquecento pagine tra la letteratura del XVII secolo e scuole filosofiche del successivo, che l'autore proprio non riesce a dare per spacciate


di Giampaolo Rugarli


Jeffrey Eugenides, nato a Detroit da famiglia di origine greca, più o meno cinquantenne; autore di racconti e di due romanzi (il secondo premiato con il Pulitzer 2003), propone al pubblico una terza opera narrativa di ampio respiro, La trama del matrimonio. Il respiro del libro è tanto ampio che si contano all’incirca cinquecento pagine, e verrebbe la tentazione di ritorcere a danno dell’Autore una battuta che è nel suo testo: “un romanzo lungo … diventava simbolo dell’insicurezza maschile riguardo alle dimensioni del pene”. Sulle dimensioni del pene di Eugenides non so nulla: gli auguro di tutto cuore (se la cosa lo gratifica) che siano proporzionate alla quantità di ciò che lui scrive.
 
A dispetto di tanta abbondanza, la trama del libro è relativamente esile e povera di avvenimenti, benché, intorno ai tre protagonisti, si affollino tipi umani di tutte le età, di tutte le condizioni sociali e per tutti i gusti, spaziando tra America, Parigi, Montecarlo, India, ecc. ecc. E’ evidente l’ambizione di offrire un pur sommario affresco del mondo e della società in cui oggi viviamo.
 
Ma torniamo ai tre protagonisti. Lei, Madeleine, bella, giovane, affascinante, di ottima famiglia, si interroga su Roland Barthes e sulle attuali sorti dell’istituto matrimoniale. Lui, Leonard, è un uomo di scienza che sa tutto sul lievito (e alle meraviglie del lievito sono dedicate alcune pagine sconcertanti): purtroppo di tanto in tanto cade in depressione e fa stranezze, a meno di ingurgitare salvifiche pastiglie di litio. L’altro, Mitchell, è uno studioso delle religioni, verosimilmente alla ricerca di Dio per dare un senso alle cose.
 
Madeleine sposa Leonard, ma, dopo una parentesi di felice stordimento, il fantasma della depressione (in forma maniacale) turba e sciupa l’idillio, tanto più che si teme per i comportamenti dell’infermo tentato dal suicidio. Alla fine Leonard, dopo aver dichiarato il fallimento e la fine del suo matrimonio, fugge non si sa dove e di pari passo si moltiplicano le ricerche del mentecatto e le ansie in vista di un possibile epilogo autodistruttivo. Leonard si ucciderà o non si ucciderà? Le pagine del romanzo (le ultime), che lasciano in sospeso questo interrogativo, probabilmente sono le più belle, e io non rivelerò il destino del folle smarrito tra nebbie solo apparentemente diverse da quelle che avvolgono il vivere. Si dice che morto un papa se ne fa un altro, e Madeleine non tarda a consolarsi tra le braccia di Mitchell. Non vi sarà né un apropposta matrimoniale e ancor meno un secondo matrimonio, perché “l’ultima cosa di cui la donna ha bisogno è di risposarsi”, ci sono cose più importanti nella vita. Eugenides suppone di aver escogitato un finale rivoluzionario: tanto amore ma niente nozze. No, il suo finale ricalca il vetusto “così vissero felici e contenti”, ma va bene lo stesso, la lunga, estenuante navigazione ha trovato un collaudato porto di approdo.
 
Eugenides.jpgEugenides ha letto e studiato molto, ha una vasta cultura che non si preoccupa di nascondere. Diventa quindi un Autore difficile o quanto meno non alla portata di tutti: e sento l’obbligo di complimentarmi con la Mondadori che ha proposto un libro di qualità senza preoccuparsi delle vendite, quando la maggior parte del pianeta editoriale italiano si muove solo tra letteratura gialla e letteratura di consumo. Eugenides sguazza tra tutti i mostri sacri del pensiero novecentesco (Derrida e Heidegger, Lacan e Julia Kristeva e così via), ma, forse senza accorgersene, accantona gli arzigogoli e per bocca della sua eroina, confessa: “Con un romanzo dell’Ottocento Madeleine si sentiva al sicuro. Ci sarebbero stati dei personaggi a cui sarebbe accaduto qualcosa in un luogo che era simile al mondo reale”.
 
Posso sbagliare, ma, a mio avviso, Eugenides ha tentato un’operazione acrobatica, cioè la resurrezione del romanzo ottocentesco da adattare alle cose e alle idee del mondo di oggi. Per quanto concerne le cose, sì, ci sono dentro tutte, ivi incluso il pansessualismo che spazia tra rapporti etero e omo, tra congiungimenti per la via maestra ma pure per ogni altro possibile orifizio e in più di una sculacciata, omaggio doveroso al barone Sacher-Masoch. E c’è tutto lo strumentario connesso (preservativi e quanto altro) raccolto in un kit di sopravvivenza per ragazze. A parte l’esplosione del sesso, sono presenti tutti o quasi tutti i marchingegni elargiti dal progresso, né potrebbe essere altrimenti: la signora Bovary viaggia sulle carrozze trainate dai cavalli, Anna Karenina fa in tempo a buttarsi sotto il treno, mentre Madeleine guida una decappottabile, sia pur comprata di seconda mano.
 
Molto più complicato e arduo il discorso sulle idee, e ho molte perplessità sul romanzo di Eugenides – un romanzo che comunque è pieno di intelligenza, di stimoli e vola molto più in alto della produzione corrente. Eugenides sembra ascoltare un po’ tutte le voci del trascorso Novecento e a ciascuna accordare un minimo di credibilità, di dignità (ed è stranissimo che dimentichi, se non sbaglio, quella di Bachtin, ossia una delle poche che realmente hanno aiutato a comprendere).

Io non voglio avventurarmi su un terreno che mi è estraneo, però credo che il recente passato sul versante delle scienze sia stato ricco di scoperte e di invenzioni, e sul versante dei concetti sia stato ricco di palle. Guardo con sospetto a tutte le "logìe" che imperversano, decrittando gli abissi del vivere in solitudine o del vivere insieme: certo sono servite a moltiplicare il numero delle cattedre universitarie, ma non per questo lo smarrimento dell’umanità è diminuito. Verosimilmente Eugenides ha scansato la sostanza del problema (quella che tale è da sempre e tale rimarrà per sempre) preoccupato di apparire banale, già saputo, a rimorchio dei tempi andati. E la sostanza del problema continua a essere espressa dalla pur ironica battuta, ossessivamente ripetuta da Riccardo Pazzaglia in un vecchio spettacolo di Renzo Arbore: “Chi siamo? Dove andiamo? Ah, saperlo!”.
 
Completerei il discorso con una fulminea affermazione di Woody Allen, alla quale faccio spesso riferimento perché sintetizza millenni di filosofia. Ma prima vorrei osservare che la resurrezione del romanzo, più o meno ottocentesco, è una generosa illusione di Eugenides: leggere cinquecento pagine una volta aiutava a riempire la vita che offriva ben poco all’infuori dei sogni, oggi è un duro cimento al quale non so quanti siano disposti a sottoporsi. Questa stessa rivista dimostra che è in bilico persino il futuro della carta, e il romanzo, se vorrà sopravvivere, dovrà reinventarsi da cima a fondo.
 
Torniamo a Woody Allen. Gli fu chiesto di pronunciarsi sulla morte e sull’aldilà. Il grande attore rispose: “Sono contrario”. Siamo tutti contrari, ma è difficile ammetterlo. Forse Eugenides scriverà un capolavoro (non più di cento pagine, per favore) se si lascerà ispirare dalla riluttanza a uscire di scena.



Tags: Einaudi, Giampaolo Rugarli, jeffrey Eugenides, la trama del matrimonio, ottocento, promessi sposi, romanzo,
26 Gennaio 2012

Oggetto recensito:

Jeffrey Eugenides, Trama del matrimonio, Einaudi 2009, 17 euro

giudizio:



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