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LIBRI

Precario e creativo, è il Fantozzi del 2000

Se al mitico ragioniere i cineforum aziendali non andavano giù, per le giovani generazioni di "sfigati" l'arte è una tragica vocazione. Io non ci volevo venire qui, di Angelo Orlando Meloni, è un manuale per chi rinuncia a tutto pur di inseguire la musa


di Eleonora Lombardo


Da leggere se:
a) Si ha un romanzo nel cassetto
b) Il/la vostra migliore amico/a ha un romanzo nel cassetto
c) Almeno una volta nella vita vi siete sentiti un artista incompreso.
 
Di test senza punteggio come questo, coinvolgenti al limite del pudore, ce ne sono diversi nel libro del siracusano Angelo Orlando Meloni, Io non ci volevo venire qui. Breve manuale di autodistruzione per il conseguimento della felicità. Un romanzo di deformazione, come recita la quarta di copertina, la storia di un ragazzo normale, forse lo stesso Meloni, desideroso di una vita normale, ma troppo immerso nella normalità per fuggire alle lusinghe dell’arte. O della presunta arte.
 
Il ritmo è quello cadenzato e diretto del manuale che si rivolge direttamente al lettore, senza risparmiare di tirare in causa, nome e cognome, amici e conoscenti dello stesso autore. Ma non è certo questo che fa delle avventure del protagonista una storia coinvolgente, quanto l’elenco grottesco e ironico di una serie di situazioni e personaggi, leggendo i quali sembrerà di essere finiti in una casa degli specchi o di essere preda di psicosi da déjà vu reiterati.
 
Trent'anni fa un ispirato Paolo Villaggio creava il ragionier Fantozzi Ugo e attraverso la memorabile voce fuori campo dei film della saga, riusciva a stabilire un’empatia potente con la generazione del posto fisso, delle ferie e della sfiga. Oggi il personaggio di Meloni sembra il nipote di quella voce fuori campo ed empatizza con una generazione di disoccupati che investe il tempo libero votandosi all’arte e che in comune con l’altra ha solo una cosa: la sfiga. È la sfortuna che spinge violentemente gli eventi nel libro di Meloni ed è per sfortuna che il protagonista finisce invischiato in improbabili esperimenti artistici: dalle rock-band alle riprese di un cortometraggio senza tralasciare un’esperienza in teatro fino all’immancabile corso di scrittura creativa, incubatore di talenti quanto un vaccino per l’influenza. 
 
Orlando-Meloni3.jpgCon le sue lusinghe e i suoi rifugi, con il suo mondo eletto ma non troppo, l'arte viene dipinta come la trappola che fin dai tempi delle caverne distrae l’uomo dalla vita felice e lo catapulta nel regno del fallimento reiterato. Non c’è salvezza perché “è l’arte che ha scelto per te, le altre alternative si sono squagliate come un pupazzo di neve nel Sahara”. Meloni scrive usando un linguaggio che è un misto di termini colti e colloquiali, alcune volte esagerando nello sballottare il lettore dalla riflessione intimista alla battuta trash. 
 
Le situazioni si susseguono da un capitolo all’altro, capitoli tutti titolati, come da manuale: Meloni potrebbe essere l’esponente di una chick-lit al maschile, ma più raffinata. Un genere che mancava alla felice stagione di autori siciliani immuni dalla sicilianitudine (Giorgio Vasta, Irene Chias, Giuseppe Rizzo, Giuseppe Schillaci) e anzi, abili indagatori della generazione "vicaria", aggettivo preso in prestito proprio dalla Chias, che riconosce se stessa grazie alle epifanie che la narrativa le concede. 
 
Facile riconoscersi e riconoscere nella galleria di personaggi del libro di Meloni: dal “lontanissimo cugino, severissimo giudice di Cassazione, con il pallino della scrittura” che si trasforma nel mecenate del protagonista, al registaattoresceneggiatore Igor Bio che appende in salotto il curriculum, fino ai docenti di scrittura creativa, “prosatori post-parnassiani contemporanei” che etichettano i racconti come “troppo ombelicali” e crocefiggono sull’interrogativo: “Ma perché il lieto fine? Che significa?”
 
Il finale del libro infatti è un lieto-amaro, ma più che lieta è la lettura di questa storia: soprattutto dopo le prime venti pagine, quando ci si accomoda per seguire con interesse i risultati dei sondaggi dell’Istituto di Ricerca Dora Venter, si fa autoanalisi per sapere se si è vittime della Sindrome di Forrest Gump e ci si mette a braccetto con Socrate Diogene e Platone, la Gang del Pensiero, per capire come si può stare felici su questa terra. Al riparo dall’arte, da un’identità incerta e da un avverbio troppo lungo.



Tags: Angelo Orlando meloni, arte, Eleonora Lombardo, Io non ci volevo venire qui, precariato,
13 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

Angelo Orlando Meloni, Io non ci volevo venire qui. Breve manuale di autodistruzione per il conseguimento della felicità, Del Vecchio 2010, p. 121, euro 14

giudizio:



7.7625
Media: 7.8 (8 voti)

Commenti

L'autore ha saputo cogliere

8.01

L'autore ha saputo cogliere gli aspetti più grotteschi dei nostri tempi.

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