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LIBRI

Quando Fitzgerald fallì

L'autore del Grande Gatsby nei suoi ultimi anni tentò di fare lo sceneggiatore a Hollywood, ma con scarso successo. In Pat Hobby racconta con ironia la parabola discendente di una carriera agli Studios


di Lorenza Trai


Alle soglie della seconda guerra mondiale, Pat Hobby è uno sceneggiatore hollywoodiano alcolizzato; più esattamente è un ex sceneggiatore, poiché la sua stella ha smesso di brillare dopo i fasti vissuti al tempo del cinema muto, quando, a suo dire, viveva in una villa con la piscina in giardino, era servito da domestici filippini e arrivava negli Studios a bordo di un’auto di lusso. Con l’avvento del sonoro la sua ispirazione letteraria sembra inaridita o, comunque, incapace di adeguarsi alle modalità di racconto che le nuove tecniche impongono: per esempio l’utilizzo del dialogo come elemento della narrazione cinematografica, oppure la necessità di riconsiderare il peso dei personaggi secondari, cui attribuire una frase minima che dia senso ai passaggi in scena, anche fugaci.
  
Ossessionato dal rimpianto per la bella vita che conduceva, Pat Hobby pensa che il problema risieda nelle pastoie ottuse della gerarchia che amministra gli Studios più che nelle sue capacità; così si aggira per i teatri di posa e gli uffici come un clandestino, elemosina lasciapassare, chiede piccoli prestiti che regolarmente dissipa alle corse dei cavalli, simula una dignità ormai ai minimi termini, vivacchia ai bordi del sogno hollywoodiano, ottenendo di tanto in tanto qualche effimero incarico, più per atto di pietà di qualche vecchio amico che per merito proprio. Piccoli compiti nei quali Pat riesce invariabilmente a fallire, perché inebetito dall’alcol, oppure perché ingannato da quel briciolo di amor proprio che gli resta e che puntualmente lo illude di essere a un nuovo inizio, o magari solo perché una fantozziana sfortuna svela i piccoli imbrogli che ha vigliaccamente messo in atto per riguadagnare la scena. 
 
Le disavventure di Pat costituiscono però molto di più che una divertente satira sul bel mondo dorato della cinematografia americana dell’epoca, le sue contraddizioni e bassezze.
L’autore dei diciassette brevi racconti è Francis Scott Fitzgerald, cioè uno dei tasselli fondamentali della rappresentazione socioculturale dell’America anni venti (boom capitalistico che precede la Grande Depressione, denaro, jazz, echi del comunismo oltreoceano, proibizionismo, suffragette e maschiette...): di quella società Fitzgerald era stato narratore americanissimo, nel senso di una adesione a un modello di pragmatismo letterario spinto fino alla sovrapposizione fra personaggio e scrittore. Nel 1940, a pochi mesi dalla prematura scomparsa, ritroviamo un Fitzgerald malinconico e ironico, oberato dalle difficoltà finanziarie e personali e deluso dall’esperienza di sceneggiatore hollywoodiano che non gli aveva regalato la stessa gloria dei romanzi della giovinezza.
 
Fino a che punto Fitzgerald si identifica nel fallimento di Pat Hobby? L’ironia serve a prendere le distanze da un mondo giudicato in fondo troppo gretto per comprendere il suo genio o lo scrittore sta in realtà amaramente provando a ridere della propria parabola discendente? Impossibile tracciare un confine fra le due posizioni: il racconto in terza persona non nasconde una fortissima identificazione dell’autore con il personaggio, ma spesso le situazioni comiche danno l’idea che Fitzgerald stia mettendo in atto una piccola vendetta contro un meccanismo che non lo ha gratificato.
 
Il lettore, consapevole che è degli intelligenti saper ridere dei propri fallimenti, prova una divertita solidarietà con Pat Hobby; le situazioni meschine, l’ipocrisia del successo, la vacuità dei rapporti umani sembrano cronaca odierna e il tono dei racconti ha una immediatezza e una freschezza che tradisce la grandezza del narratore. Si compie sulla pagina un piccolo paradosso: laddove nella trama il povero Pat è incapace di stare al passo con le tecniche narrative del parlato, nello stile Fitzgerald realizza proprio una scrittura cinematografica. I racconti sono mini sceneggiature costruite attraverso dialoghi, pose, personaggi spiegati dalle cose che fanno e dicono: un susseguirsi di ciak attraverso i quali rigustarsi uno di quei mitici film in bianco e nero, quelli che la Hollywood anni Quaranta ha fissato meravigliosamente nel nostro immaginario.



Tags: anni quaranta, film in bianco e nero, francis scott fitzgerald, grande depressione, Hollywood, Lorenza Trai, pat hobby, robin edizioni, sonoro,
12 Marzo 2010

Oggetto recensito:

Francis Scott Fitzgerald, Pat Hobby. Disavventure di uno sceneggiatore a Hollywood, Robin 2010, p. 216, euro 14

giudizio:



7.679997
Media: 7.7 (3 voti)

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