Intervista alla sociologa Chiara Saraceno, famosa per i suoi studi su famiglia e lavoro, oggi professore di ricerca a Berlino. Per scoprire che, purtroppo o per fortuna, la cultura maschile è così arretrata solo da noi
di Remo Bassetti
Professoressa Saraceno, a tanti anni di distanza dall’inizio delle lotte femministe cosa ne dice: avevano ragione quelle che dicevano che il nodo della questione era nella riproduzione e non nella produzione?
Ma chi l’ha mai seriamente sostenuto, tra le femministe, che la posta in gioco non riguardasse il controllo del corpo della donna? E ancora oggi, dopo la legalizzazione dell’aborto e la diffusione della contraccezione, vediamo che la tentazione di vedere il corpo femminile come un luogo di passaggio altrui è stata tutt’altro che sconfitta. La fecondazione assistita continua a trattarlo come un utero che cammina.
Ma possiamo almeno dire che il quadro è migliorato?
In realtà ci sono dei ritorni all’indietro terrificanti, come in materia di Ru486. Pare che l’aborto si possa ritenere tanto più legittimo quanto più è doloroso. Devo però ammettere, che al di là degli scontri sul terreno politico, il peggioramento più desolante è legato agli effetti perversi della pseudoemancipazione sui mass media. Diciamo con chiarezza che in tv una donna non passa se non con il corpo, e altro che la vecchia scollatura! L’immagine pubblica che della donna viene proposta è di un corpo da guardare e da usare. La velina è ormai un modello a tutto tondo.
Eppure in quarant’anni le conquiste civili non sono mancate, e nel complesso nemmeno un certo grado di sviluppo culturale. Perché gli effetti non si vedono sull’immagine pubblica femminile?
Guardi, è una questione molto italiana. Io vengo continuamente intervistata da giornalisti stranieri che mi chiedono come mai la tv italiana, che ritengono un caso quasi unico, sia così volgare e scollacciata. In Germania la tv è noiosissima ma c’è sobrietà in chiunque, e le donne non sono rifatte e atteggiate. Quando è arrivata la telefonia di Alice qui in Germania non hanno potuto riproporre la pubblicità ammiccante che c’era in Italia, qui non capiscono nemmeno perché dall’allusione sessuale si debba risalire a certi prodotti. Per vendere i cellulari presuppongono che si debbano banalmente mostrare due persone che si parlano. Le dirò che tanto sbigottimento straniero a un certo punto mi ha sollevata, cominciavo a pensare di essere diventata io una puritana. La cultura maschile italiana è un po’ da oratorio e un po’ patriarcale, non ha grandi distinzioni territoriali e certe volte neppure di istruzione. Nemmeno gli intellettuali spesso sono in grado di sottrarvisi. Ancora ricordo un articolo in cui Marcello Sorgi scriveva che eravamo andati in Afghanistan per difendere il rossetto e la minigonna, dimostrando oltre tutto un senso antropologico nullo. D’altronde basta guardare le strizzate d’occhio dei siti dei giornali progressisti, inclusa Repubblica, sulla quale scrivo. Uno dei pochi che aveva tentato di contrastare il fenomeno era Giulio Anselmi, ma ha dovuto constatare che gli inserzionisti reagivano ritirando la pubblicità.
Non trova che di fronte al maschilismo pubblico difetti una solidarietà tra le donne?
E’ vero, e provo spesso a pensare perché non ci sia. Un’eccezione è stata l’iniziativa di firme su Repubblica dopo l’insulto alla Bindi, ma si è visto come abbia tirato meno di tutti gli altri appelli. La mia generazione credo si sia stancata di stare sempre lì col ditino alzato. Io stessa mi inalbero di fronte a una battuta da caserma non più di una volta su tre, sono stufa di passare per una megera…eh, ma non hai il senso dell’ironia, non sei spiritosa, sei moralista, forse è che sei diventata troppo vecchia…io ho visto poche persone brutte come Bossi o fisicamente respingenti come Berlusconi, eppure nessuno li giudica per questo, anzi neppure la cosa viene mai messa in mezzo.
Se tirare le somme sulla donna come soggetto pubblico non è confortante, ci possiamo almeno consolare con le dinamiche familiari?
Ah, su quelle c’è stata una grande evoluzione dei costumi: nella divisione del lavoro, specialmente al nord, nella cura dei bambini, nella condivisione, anche se il lavoro domestico continua per il novanta per cento a essere una prerogativa femminile. Più di tutti sono cambiati i rapporto sessuali, la maggior parte delle volte s’imparano insieme, il piacere di esplorare è diventato comune. Forse la più grande vittoria del femminismo è stata davvero la separazione tra sessualità e riproduzione.
Ma a quest’Italia maschilista servirebbe una qualche legge particolare?
Macchè, non manca nessuna legge, ne abbiamo anche troppe, sarebbe più importante ridefinirle. Pensi alle quote rosa: messe giù in quel modo non mi piacciono, somigliano alle quote riservate ai soggetti con degli handicap. Io la chiamerei legislazione antimonopolistica. Il suo vero senso è tutto lì.
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Commenti
Niente da dire, ma non si può
Niente da dire, ma non si può votare senza scrivere un commento. Belli questi articoli per la festa della donna e bella questa intervista, nonostante la depressione che mi fa venire per la situazione italiana.
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