• Seguici su:
ATTUALITA'

Non ci svelate

La Francia lo vieta negli uffici e sugli autobus. Invece il velo islamico va rispettato come quello delle suore o delle spose


di Margherita Granbassi


copertina donna.jpgPubblichiamo un capitolo dalla prima delle guide di Giudizio Universale.
La
Guida al corpo della donna dalla A alla Z, firmata da Margherita Granbassi e Carlo Flamigni, sarà in libreria l’8 marzo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
In origine il velo non è una cosa che si mette sopra la testa, ma è una parte della testa stessa. Ecco che cosa scriveva San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo”. Sorpresa: i capelli lunghi sono quindi un velo? Senza entrare in discussioni teologiche, non la trovo psicologicamente una considerazione assurda. I miei capelli lunghi mi hanno fatto sempre sentire protetta, sono una difesa contro la timidezza.
Ma torniamo ai Corinzi: San Paolo li richiamava all’ordine perché le loro donne non portavano il velo. Il velo dei capelli sta(va) alla donna come l'umiltà e la sottomissione stanno alla moglie: da un lato protegge la nudità del suo volto, dall'altro la rende donna, cioè diversa dall'uomo. La distingue.
 
Il velo per tradizione consegna la donna/moglie all'uomo/marito. E’ il caso della novizia che quando prende i voti rinuncia ai propri capelli (alla bellezza, alla vanità) e diventa la sposa del Signore/marito, per il quale prende il velo. E’ il caso della moglie vestita di bianco che si concede in sposa per tutta la vita al suo uomo, il quale è l'unico che ha il potere di scoprirle il volto quando arriva all'altare. E’ il caso della donna islamica che, per decisione e non per costrizione, decide di vivere per sempre con il velo.
La scelta del velo non va tanto compresa (possiamo anche non essere d'accordo), ma rispettata. E' una scelta di pudore. Lo svelamento obbligato è una forma di emancipazione forzata che le donne velate di ogni luogo non meritano. Immaginate di togliere il velo a una suora, immaginate che domani tutte le donne italiane decidano di scendere in piazza per protestare contro il velo bianco delle spose. Scoppierebbe una sommossa.
 
L'attenzione che l'occidente sta investendo sul velo islamico è figlia anch'essa, come il body scanner in aeroporto o le telecamere in ogni angolo delle più importanti stazioni, dell'11 settembre. Sembra che prima di quella data il velo non esistesse (nelle foto che scattavamo in viaggio per immortalare il folclore delle regioni meridionali, per la verità esisteva). Solo perché non ci interessava da dove venisse, perché esistesse e cosa significasse.
La questione del velo islamico nasce invece nel 1989, quando in Francia lo rivendica, in nome dell’identità, una generazione di immigrate più combattiva di quella precedente, che aveva accettato un’assimilazione vicina al colonialismo culturale. Le donne arabe hanno cominciato a portare il velo in Europa anche contro i loro padri, come una ventina d’anni prima i giovani occidentali portavano i capelli lunghi. E noi vogliamo proibirlo perché umilia la donna, offende la sua emancipazione? L'emancipazione di una donna si misura dal numero di borse di studio e dalle opportunità che il paese in cui vive offre ai giovani, dall'inclusione delle donne nella sfera pubblica, dai ruoli di potere che rivestono, dalle strutture sociali messe a disposizione delle madri lavoratrici. Possiamo anche avere la metà dei ministri donna, ma se affidiamo loro ministeri con pochi poteri o con poteri "da donna" - che molto spesso è sinonimo di minor importanza, come se le donne potessero occuparsi solo di questioni delle donne - è un risultato a metà. Uno dei più influenti ministri del nuovo governo palestinese è Maryem Mahmoud Saleh. Una donna che indossa il velo e che rappresenta tutto il popolo palestinese. E molte femministe musulmane pensano che grazie al velo se ne sono potute andare indisturbate fuori dall’ambiente familiare ed emergere socialmente.
 
La tipica eccezione di fronte a costumi estranei è: facciano quel che vogliono ma a casa loro. Non lo dicono solo nei bar o sugli autobus. La sostanza è la stessa anche in certi ragionamenti degli intellettuali che, partendo dal presupposto che certe culture sono patriarcali, affermano che quando i loro membri sono sotto la nostra giurisdizione dobbiamo intervenire a favore delle donne imponendo le leggi liberali, come faremmo per qualsiasi cittadina. Ma questo è proprio essere patriarcali! Decidere dall’alto, contro la volontà delle stesse persone che vorremmo tutelare. Diverso è aiutarle e proteggerle quando hanno scelto loro di rompere con le tradizioni culturali del paese di origine.
E non escludo che un atteggiamento favorevole al velo si possa sviluppare per ragioni diverse dalla tradizione. Mi viene persino da pensare che una ragazza insicura del suo aspetto complessivo possa velarsi per mettere in risalto gli occhi. Personalmente ho provato una volta a metterlo sotto la maschera, dopo avere visto le schermitrici egiziane che si allenavano con il velo. Scomodissimo. Ma forse non era l’occasione migliore.
 
Ho difeso il velo, e tuttavia non ragionerei nello stesso modo con il burqa. La ragione è molto semplice: la libertà delle immigrate che vivono da noi non deve peggiorare la qualità della nostra libertà. Spesso, quando si parla di diritti degli immigrati, si dà per scontato che continueranno a occupare, come avviene adesso, i gradini più bassi della scala sociale. Ma io voglio immaginare un futuro nel quale le donne, anche quelle straniere, possano essere primari, presidi, dirigenti senza che ciò sia una notizia. E quindi immagino che la donna col burqa non sia la paziente che si fa operare, la studentessa che deve dare l’esame, la sottoposta di fronte al capo, ma si trovi nel posto di potere. E mi penso in una situazione d’ansia, angoscia, subalternità, nella quale invano cerco di interpretare quel volto che non si mostra. Per noi occidentali la comunicazione passa necessariamente per il volto. Al massimo nascondiamo gli occhi stanchi o arrossati di pianto dietro gli occhiali da sole. Quindi niente burqa, anche al di là della questione di sicurezza che richiede di poter identificare le persone.
Per il momento il mio contatto più ravvicinato con il mondo del burqa è molto più inaspettato e curioso. Un viaggio aereo transoceanico, con a fianco due donne coperte dalla testa ai piedi. Esaurita la prima fase della curiosità, dopo il decollo mi sono addormentata per un po’: quando ho riaperto gli occhi, ho visto che una delle ragazze mostrava all’amica il cellulare con delle foto in cui era in versione abbigliamento osé. E mi sono coperta il volto con i capelli, per nascondere il mio ridicolo imbarazzo.



Tags: 11 settembre, burqa, capelli, carlo flamigni, corinzi, divieto, donna, emancipazione, francia, guida, guidizio universale, immigrazione, islam, Margherita Granbassi, niqab, san paolo, sposa, suora, velo,
28 Gennaio 2010

Oggetto recensito:

il velo

giudizio:



8.292861
Media: 8.3 (7 voti)

Commenti

Riporto l'articolo 10 del

4.05

Riporto l'articolo 10 del Decalogo di Giudizio Universale:

10. La rivista non recensisce le opere dei suoi collaboratori, salvo che la loro partecipazione non sia sporadica o lontana nel tempo.

Credo che il tutto si commenti da sé

In che senso scusi? Questa

In che senso scusi? Questa non è mica la recensione del libro di una nostra collaboratrice: è l'estratto in forma di articolo di un libro da noi pubblicato. Dov'è il problema?

Invia nuovo commento

Il contenuto di questo campo è privato e non verrà mostrato pubblicamente.
 
CAPTCHA
Questa domanda serve a verificare che il form non venga inviato da procedure automatizzate
Image CAPTCHA
Enter the characters (without spaces) shown in the image.