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MOSTRE

McCarthy, l’artista che mette in mostra il suo studio

Smontato a Los Angeles e rimontato nei sotterranei di Palazzo Citterio a Milano, con lo stesso scultore che si aggira per dare qualche ritocco. In questa Pig Island i presidenti americani si trasformano in maiali e le opere d'arte sanno di ketchup


di Silvia Conti


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Benvenuti sull’Isola dei Porci: Paul McCarthy è appisolato alla vostra destra, su una sdraio da giardino. Sta sognando: Dreaming è il titolo dell’autoritratto in silicone che apre la mostra dell’artista statunitense allestita dalla Fondazione Nicola Trussardi a Milano, negli spazi di un complesso settecentesco di cui la città sembrava avere dimenticato l’esistenza: Palazzo Citterio. Se il sonno della ragione genera mostri, il Paul McCarthy assopito all’ingresso vi conduce invece in un viaggio nel suo immaginario di artista: nato nel 1945 a Salt Lake City, McCarthy vive da decenni a Los Angeles e, da lì, osserva e trasfigura con sarcasmo le ossessioni che caratterizzano la sua nazione. (sopra Pig Island, ricostruzione dello studio di Paul McCarthy)
 
Dreaming non è solo un’introduzione alle fantasie di McCarthy: è anche un’immagine segnaletica che vi conviene memorizzare. Perché da quando la mostra è stata inaugurata, l’artista si aggira per le sale del Palazzo, dove per la prima volta in assoluto espone il proprio studio. Pezzo dopo pezzo, l’atelier di McCarthy è stato smantellato, fotografato, catalogato e traslocato da Los Angeles a Milano. Ricostruito in ogni dettaglio, il laboratorio è ora un’opera monumentale che invade i sotterranei di Palazzo Citterio: è questa l’Isola dei Porci che dà il titolo alla mostra, è questo l’atollo in cui sono raccolti materiali da lavoro e oggetti di uso comune destinati a degenerare in incubi. 
 
085.JPGSull’Isola troneggiano inquietanti sagome umane e animali, strumenti musicali e avanzi di cibo, fotografie di star di Hollywood e materiali da bricolage, icone e spazzatura. Strato dopo strato, nella Pig Island si sono accumulati sette anni di lavoro di McCarthy. Fate attenzione a non calpestare la moquette che la circonda, per favore, e state all’erta: l’artista si riserva di poter intervenire sull’opera da un momento all’altro. In fondo, quello è il suo studio: è in quel microcosmo che McCarthy ha abbozzato e creato opere che si trovano nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo e, ovviamente, nelle altre sale di Palazzo Citterio.
 
Tra queste, Static (Pink), un agglomerato in silicone rosa in cui creature ibride tra il suino e l’umano affondano le zampe tra gli oggetti più disparati. Tra le creature, si scorge la caricatura di George W. Bush. Non dubitate dei vostri occhi: l’ex presidente sta proprio sodomizzando un maiale. Static (Pink) fa parte di una serie di sculture che sono tra le più celebri di McCarthy: l’artista sceglie spesso di enfatizzare le sproporzioni con effetti grotteschi e di rappresentare personaggi noti in pose becere e sguaiate. Static (Pink), che per via delle sue dimensioni ed il suo color confetto sa farsi notare, è la dichiarazione d’intenti di una mostra densa di critiche alla società dello spettacolo: una società i cui canoni e meccanismi sono ormai diventati forma mentis per milioni di persone. Questa idea viene ribadita da McCarthy anche dalla scultura Paula Jones, recentissima opera in silicone che ritrae la prima donna che ha denunciato per molestie Bill Clinton e che, dopo il processo, ha posato per la rivista Penthouse e tentato la carriera televisiva. 
  
McCarthy-ketchup.jpgTra il pop e il concettuale, il lavoro di McCarthy a Milano è concentrato in una decina di opere. Nel cortile di Palazzo Citterio, l’artista fa svolazzare una gigantesca bottiglia di ketchup marca Daddies: che sia un giocattolo, un’attrazione da parco dei divertimenti o un messaggio pubblicitario, non potrete ignorarla. Il contenuto di 240 bottigliette di ketchup marca Heinz è stato invece spalmato tra le 120 lastre di vetro che, sovrapposte, compongono Ketchup Sandwich: il cubo, così come la sedia di Chair with Butt Plug, è un topos di quell’arte concettuale che imperversava negli Stati Uniti quando McCarthy era ventenne. Farcito di ketchup (condimento del junk food e ingrediente di b-movies dagli intenti splatter), il cubo di McCarthy diventa il disgustoso simbolo degli scadenti prodotti dell’industria alimentare e di quella culturale, entrambe ossessionate da produttività spasmodica, ricerca di sapori sempre più forti e altissimo rischio di obsolescenza.
 
Proprio i b-movies, con i loro esiti grotteschi, sono la base dei video proiettati nei sotterranei di Palazzo Citterio, girati da Paul McCarthy insieme a figlio Damon. Stanza dopo stanza, i due video-maker vi trascinano in un vortice farsesco di schiamazzi e suoni gutturali: in questi filmati, decine di personaggi caratterizzati da corpi deformi e comportamenti sopra le righe sono protagonisti di scene carnascialesche e senza trama, tra eccessi di ketchup e di cioccolato liquido.



Tags: bill clinton, Dreaming, George Bush, ketchup, Mapping the Road, Palazzo Citterio, Paul McCarthy, Paula Jones, Pig Island, Pop Art, pulp, Silvia Conti, Static (Pink),
25 Maggio 2010

Oggetto recensito:

Paul McCarthy, PIG ISLAND – L’ISOLA DEI PORCI, Palazzo Citterio, via Brera 14, Milano

A cura di: Massimiliano Gioni
 
Fino al: 4 luglio 2010
 
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 20
 
ingresso: libero
 
Info: www.fondazionenicolatrussardi.com
 
McCarthy a Venezia: Se Paul McCarthy vi avesse entusiasmato, in Italia potrete trovare altre sue opere a Venezia, nella collettiva Mapping the Studio. La mostra è in parte allestita a Punta della Dogana, cioè negli spazi di un’antica dogana veneziana abbandonata per decenni e rimessa in sesto da François Pinault, collezionista privato che è riuscito dove qualcun altro ha fallito con Palazzo Citterio 
 
Palazzo Citterio:
la costruzione milanese era stata acquistata dallo Stato negli anni Settanta, in vista di un possibile ampliamento della Pinacoteca di Brera: affidata all’architetto John Stirling negli anni Ottanta, parte del palazzo è stata sventrata e poi lasciata al proprio destino. Al momento, i suoi interni mostrano cemento, calcinacci, mattoni a vista; le aree potenzialmente pericolose sono state sbarrate con travi di legno: un ambiente perfetto per l’arte contemporanea. Ma non dimenticate di osservare la vecchia targa d’ottone ancora affissa nell’ingresso principale: alla voce committenti, indica l’allora Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, insieme alla Compagnia di San Paolo e all’Associazione Amici di Brera e dei Musei Milanesi. E un po' fa incazzare

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