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LIBRI - NARRATIVA

Intervista a Emilio Salgari

Ritornano le tigri della Malesia, ultimo romanzo di Paco Ignacio Taibo II, lo chiama in causa per l'ennesimo omaggio. Ma quale sarà il pensiero del papà di Sandokan? Abbiamo approfittato dell'anniversario (il 25 aprile cade il centenario del suo suicidio) per chiederglielo personalmente, e sentire la risposta dalla sua..."viva" voce


di Dario De Marco


“Ancora Sandokan e Yanez? All'inizio non volevo credervi... poi ho dovuto farmene una ragione. Come per tante altre cose, nelle mie condizioni”. Emilio Salgari sta per compiere cent'anni. Cent'anni di morte, beninteso, ché lo scrittore si suicidò a Torino il 25 aprile del 1911. E per essere un morto quasi centenario, è anche bello reattivo. Per esempio: è vero che ha accettato di rispondere alle domande di questa intervista impossibile, cosa che d'altronde nessun defunto può rifiutare, alla pari di altre imposizioni da parte del mondo dei vivi come le citazioni apocrife, i ricordi personalizzati, le prese di posizione virtuali (“si sta rivoltando nella tomba...”). Però, ha messo bene in chiaro che non avrebbe parlato né della sua opera né tantomeno delle sue vicende private, limitandosi a rispondere sulla questione principale: il libro recentemente uscito di Paco Ignacio Taibo II, intitolato Ritornano le Tigri della Malesia (più antimperialiste che mai).
 
salgari.jpgAllora, Capitano...
Capitano di nullo vascello, e voi lo sapete benissimo. Su questa storia del mio amore non corrisposto per i viaggi e la navigazione, sono stato preso in giro a vita, e tediato a morte. Però poi a sfruttare il successo dei miei personaggi, ci si son buttati tutti. E non solo il buon Luigi Motta, mio compaesano, che fui io per primo ad autorizzare al plagio. Ma poi anche il cinematografo, quell'indù che manco da lontano si potrebbe scambiare per un principe malese...
 
Kabir Bedi, intende?
Colui. Per non parlare dei biografi, ognun dei quali si autodefinisce “il massimo”, o ancor peggio dei romanzi di finzione biografica sulla mia povera persona... ma di ciò non s'aveva da discutere. Però fa specie che questo figlio del selvaggio Messico si sia sentito più vicino ai pirati di Mompracem che ai corsari della Tortuga, prossima in fondo alle sue torride latitudini d'origine.
 
Ma insomma, cos'è che non la convince in Ritornano le Tigri della Malesia?
Partiamo proprio dal titolo: ritornano. Perché ritornano? Giammai se ne sono andate! I miti sono senza tempo e senza età. Invece i miei eroi vengono presentati come dei signori attempati, in certi casi dei vecchietti che non ce la fanno quasi a sostenere un abbordaggio all'arma bianca. Addirittura, sacrilegio estremo, si fa morire il caro Tremal Naik, che pure non compare mai direttamente, ma solo nel racconto del fido Kammamuri. Vivaddìo, stiamo parlando di figure immobili ed eterne, non di personaggi che crescono e invecchiano insieme ai loro lettori, come un Harry Potter qualsiasi.
 
Però, la vedo aggiornato.
E per forza, quando uno viene relegato nel Pantheon della letteratura per ragazzi, è condannato a seguire colleghi ed emuli per l'eternità. Ma va bene così, l'unico rammarico è che oggigiorno fare libri per giovani o cosiddetti d'evasione è considerato un pregio, mentre all'epoca mia era diminutio. Difendo però la mia scelta, che è quella di tanti, per un genere disimpegnato. Nel quale non rientra il romanzo di Taibo II.
 
Si riferisce al sottotitolo "Più antimperialiste che mai"?
E a ciò che ne consegue in termini di trama e dialoghi. Perché questo connotato politico i tigrotti non l'ebbero mai, né mai lo ebbi io, che a volermi costringere in una parte politica fui conservatore della più bell'acqua. Quivi addirittura si magnificano le società segrete cinesi come una carboneria asiatica della resistenza anti occidentale, quando ben lo vedete come sia la Cina oggidì che si appresta a conquistare il mondo.le tigri di mompracem.jpg
 
Un altro elemento innovativo è l'inserimento di personaggi storici e le intersezioni della trama con fatti realmente avvenuti.
Gratuito e pretestuoso, se voi mi consentite. L'eruzione del vulcano Krakatoa, la Comune di Parigi. Yanez che intrattiene una corrispondenza di natura etologica con Friedrich Engels. Rudyard Kipling che intervista Sandokan. E persino un azzardo metaletterario: il professor Moriarty, che tanto fece penare Sherlock Holmes, a capo di questa multinazionale del terrore che ordisce la macchinazione per impossessarsi economicamente del pianeta e nel contempo far cadere in trappola le Tigri. Tutti trucchi, voi capite, da un lato per confermare l'impronta politica noglobal, dall'altro per solleticare il lettore con quel minimo di contestualizzazione storica, come suole dirsi. Ma tale atteggiamento postmoderno, che vuol dare vita a un pastiche, finisce per creare semplicemente un pasticcio. 
 
La sua capacità di tenersi informato è stupefacente. Ma a proposito di trucchi e fedeltà, dovrà ammettere che almeno in un caso Taibo ha seguito le sue orme: non ha fatto approfondite ricerche storiche né sopralluoghi geografici.
E ha pure avuto il coraggio di scriverlo nella prefazione! “Alla maniera di Salgari, mi sono detto: immaginazione, pessime enciclopedie e tanta inventiva, atlanti mediocri e buoni personaggi”. Ma figurarsi! Ognuno s'arrangia con quel che ha: cosa credete, che se io avessi potuto, non sarei salpato davvero per Giava, non avrei incontrato e sfidato con queste mani i terribili tagliatori di teste dayaki? Ma io ero costretto, bloccato dalla mia miseria e dall'obbligo di scrivere decine di cartelle al giorno. Il vostro amico messicano, per carità, nell'epoca di internet e google maps ha voluto fingere un'ignoranza che io ebbi davvero, e mio malgrado. Però, chi crede oggi a simili corbellerie?
 
Beh, restituiscono un fascino d'antan. Lo stile invece è moderno, per nulla piegato sul modello.
Anche troppo, lasciatemi dire. Innanzitutto questa moda dei capitoli brevi, due o tre paginette al massimo, e subito si cambia scena. Mancano quelle lunghe descrizioni della natura, delle tempeste o delle giungle, degli animali e della vegetazione, con cui solevo aprire le mie pagine. Mancano duelli eritornano-le-tigri-della-malesia.jpg combattimenti che davvero facciano palpitare per la sorte degli eroi: o meglio vi sono, ma non approfonditamente raccontati in ogni particolare, in ogni fendente di kris. Infine il povero Yanez, gli è stata tolta di bocca la sua eterna sigaretta, ora fuma il sigaro, come il più banale dei radical chic.
 
La storia però coinvolge.
Coinvolgerà voi e i vostri simili: i lettori moderni, cinici e annoiati. Che hanno bisogno di una trama complessa, di un intrigo che non viene svelato fino alla fine, e nelle sue ragioni più profonde neanche alla fine. Una storia senza un nemico ben individuato, senza uno scontro frontale. 
 
Insomma, Salgari, di questo romanzo non salva proprio niente? Stroncatura totale?
Ah, mio amico, ma allora voi siete un giornalista della peggior specie, di quelli troppo occupati a pensare alla domanda successiva per ascoltare davvero la risposta. Ho forse mai detto una parola negativa di quel libro? Pare a me, ch'io ne abbia solo messo in luce le caratteristiche di profonda diversità rispetto all'opera mia. E tanto vale, cent'anni dopo, come giudizio positivo ancor più che neutro. Ma vi ribadirò una cosa, visto che siete duro d'orecchi: quando terminai di leggerlo, arrivato a pagina 349, provai la stessa smarrita sensazione d'appetito che milioni di lettori dicono di provare quando concludono un mio libro. Un sentimento che non può essere espresso che così: “Ne voglio ancora”.



Tags: Dario De Marco, Emilio Salgari, interviste impossibili, Kabir Bedi, Malesia, Mompracem, Paco Ignacio Taibo II, recensione, Ritornano le tigri della malesia, sandokan,
22 Aprile 2011

Oggetto recensito:

Paco Ignacio Taibo II, Ritornano le tigri della Malesia, Tropea 2011, p. 352, euro 16.90

giudizio:



9
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