• Seguici su:
LIBRI

Laika non è iconoclasta

Ne I cani vanno avanti di Valentina Brunettin la crisi esistenziale di una scrittrice di successo si intreccia con la storia della cagnetta spedita nello spazio


di Giovanni Zagni


La casa editrice Alet inaugura la nuova collana Iconoclasti con il terzo romanzo di Valentina Brunettin. Sul retro di copertina, una definizione da dizionario: "iconoclasta (aggettivo, maschile, singolare) colui che esercita una critica demolitrice e sovversiva delle convenzioni che disciplinano la società". Programma impegnativo. 
 
Ne I cani vanno avanti, in una successione molto rapida di eventi, si intrecciano la crisi esistenziale e creativa di Emma, scrittrice di romanzi di successo insieme al marito, e la storia che insegue e la ossessiona, quella della cagnolina Laika, il primo animale a compiere un'orbita intorno alla Terra (per amor di precisione: non detiene altri primati). Le prime due volte in cui si siede a scrivere, in realtà, nascono crudi racconti di stupri, facili metafore della sua condizione di donna tradita dalla vita e dagli affetti.
Molto altro accade intorno a Emma, forse troppo: eventi traumatici, tradimenti, incontri che si esauriscono in poche pagine senza che l'autrice scelga a quali personaggi e a quali scene dare vero risalto, con il rischio di lasciarne molti ambigui e incompiuti. La migliore dimostrazione di questo affanno è la figura della poetessa cinofila, la meno necessaria e riuscita del romanzo, che nasce e muore in una decina di pagine dopo aver pronunciato un improbabile discorso sul senso della vita. 
La seconda linea narrativa, ideale trave portante del romanzo, è la storia di Laika. Per raccontarla, Valentina Brunettin sceglie di non esibire particolare precisione nel lavoro di ricostruzione storica, che pure è presente, portando invece in primo piano le emozioni e i pensieri della cagnetta. Ma il difficile compito di rendere un punto di vista non umano, radicalmente altro e diverso, non è sostenuto da una scrittura all'altezza: in tutto il libro piena di sbavature, aggettivi incongrui, metafore fuori posto e adolescenziali, come se fosse ancora in via di formazione.
 
I cani vanno avanti è un libro che promette troppo, e forse è questo il suo difetto maggiore. La narrazione della vicenda di Laika è per Emma l'unica ancora di salvezza in una vita alla deriva, il ritorno/arrivo alla sua vera vocazione: il simbolo della necessità e della tirannia della scrittura. Davanti a tante aspettative, interne del personaggio ed esterne del lettore, la cosa migliore sarebbe forse stata lasciare qualche pagina non scritta: perché un segreto intorno a cui ruota l'azione, e la vita di un personaggio, rischia di suonare banale quando viene raccontato.
Nessuna traccia neppure della critica demolitrice e sovversiva promessa: se sono i racconti dello stupro a dover turbare, basta l'impietoso confronto con le prime pagine dell'Arte della gioia della riscoperta Sapienza, quelle sì sconvolgenti, palpitanti, sudate e accese come le carni che descrivono. Altri momenti che provocano un sussulto, nel libro non ce ne sono.


Tags: Alet, cagnetta laika, Giovanni Zagni, Goliarda Sapienza, i cani vanno avanti, stupro, valentina brunettin,
18 Marzo 2010

Oggetto recensito:
Valentina Brunettin, I cani vanno avanti, Alet, p. 208, euro 10
giudizio:



8.340003
Media: 8.3 (3 voti)

Commenti

Questa recensione abbaia

Questa recensione abbaia assai, ma morde poco: al di là delle sequela di insulti stilistici alla sventurata Brunettin, quali sono i "veri" difetti del romanzo? Innanzitutto benvenuto nel magico mondo della fiction, dove non si scoprono documenti segreti del KGB ma si esplora la psiche (altrettanto inquietante) dell'uomo. Poi andrebbe chiarito che cosa c'è nella scrittura dell'autrice che non garba al recensore: di certo dev'essere stata obliabile, poiché il recensore s'è scordato di fare qualsiasi esempio concreto. Le metafore sarebbero "fuori posto e adolescenziali", gli aggettivi "incongrui", i personaggi "incompiuti" ma la trama "troppo compiuta"; ma dove? come? quando? perché? Non ho ancora letto questo romanzo - lo farò di certo - ma per ora mi consolo pensando che a non leggerlo siamo stati almeno in due.

Vabbè! Che i recensori

Vabbè! Che i recensori leggano i libri di cui parlano va inteso come un assioma, altrimenti si parla di niente. Come pure che gli scrittori scrivano realmente i libri che pubblicano, a prescindere dagli spesso pesanti interventi editoriali. Poi si può essere d'accordo o in disaccordo, coi recensori. Ma che i commentatori contestino i recensori senza aver letto i libri è dadaismo puro. In un certo senso è iconoclasta. In un mondo senza più icone, però.

Un saluto,

Alberto

Invia nuovo commento

Il contenuto di questo campo è privato e non verrà mostrato pubblicamente.
 
CAPTCHA
Questa domanda serve a verificare che il form non venga inviato da procedure automatizzate
Image CAPTCHA
Enter the characters (without spaces) shown in the image.