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WEEKEND - ATTUALITA'

Come salvare l'Eurovisione

Il processo di allargamento dell’Ue continua, ma l’opinione pubblica resta distante. Forse anche perché non è mai nato un sistema radiotelevisivo comune per i cittadini europei.


di Massimo Balducci


Per molti di noi, la sigla dell’Eurovisione costituisce poco più che un ricordo di infanzia. Certo ci può capitare ancora di ascoltarla - come è avvenuto negli ultimi giorni per le Olimpiadi invernali, o in apertura del festival di Sanremo - ma non ci fa più caso nessuno. Per molto tempo invece, questa fanfara solenne tratta dal Te Deum di Marc-Antoine Charpentier non è stata una sigla come le altre: era il segnale di festa che risuonava nelle occasioni eccezionali, l’annuncio che si varcava un netto confine percettivo tra il “dentro” (la situazione di normalità, la dimensione nazionale) ed il “fuori” (l’intero continente che condivideva lo spettacolo eurotrasmesso).

 
Questo sistema risaliva addirittura al 1956, un anno prima dei Trattati di Roma: ha dunque accompagnato la nascita dell’idea stessa di un’Europa unita, ed i suoi successivi allargamenti prima e dopo Maastricht. Nell’Eurovisione si poteva anzi già intravedere il primo embrione di un futuro “telespettatore europeo”, alle prese con uno spazio radiotelevisivo comune che avrebbe inevitabilmente fatto sentire più vicini i cittadini del Vecchio Continente. Eppure questo telespettatore europeo non si è mai davvero concretizzato: e quando negli anni Novanta la globalizzazione mediatica gli ha messo la Cnn in salotto, è diventato direttamente un “telespettatore mondiale”. Tuttora oscilliamo tra gli ormai angusti sistemi radiotelevisivi nazionali, da una parte, ed il broadcasting senza confini dall’altra; insomma abbiamo a disposizione praticamente tutti i punti di vista possibili, tranne uno: quello eurocentrico. Certo, l’Eurovisione stessa era ben lontana dal costituire uno spazio mediatico condiviso, ma almeno conteneva in sé la prospettiva che quello spazio un giorno potesse nascere; mentre oggi la rinuncia ad esso continua ad avere conseguenze negative sull’intero processo politico dell’allargamento europeo.
 
Non facendo parte del nostro “ambiente mediatico”, infatti, l’Europa rischia infatti di finire in una scomoda zona d’ombra dell’opinione pubblica. Poco importano in questo senso i progressi storici compiuti dopo la caduta del Muro di Berlino, in particolare l’ingresso degli ex paesi dell’Est: paradossalmente, proprio a ridosso dei successi più importanti dell’Ue, la spinta europeista sembra per il momento essersi esaurita. E forse una delle cause principali di questo distacco della società dalle istituzioni europee, se non la principale, sta proprio nella mancata realizzazione di un sistema radiotelevisivo che faccia capo all’Europa unitaria. Per la verità almeno un tentativo importante c’è stato: proprio il 1° gennaio 1993 infatti, in contemporanea con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, sono iniziate le trasmissioni di Euronews. Che come dice il nome, è un canale satellitare all-news “paneuropeo”: trasmette simultaneamente in inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano, portoghese, russo, arabo e turco. Sulla carta è una meraviglia, ma non si può dire che abbia avuto un impatto particolarmente forte sulla nostra coscienza collettiva: in Italia per vederlo bisogna andare sul canale 508 della piattaforma Sky, e già questo (se non il taglio estremamente asettico dei servizi) basterebbe ad evitarne la diffusione mainstream. Il principale problema di Euronews è infatti che quasi nessuno sembra conoscerne l’esistenza, anche perché le stesse emittenti nazionali non hanno certo interesse a pubblicizzarla: Raiuno per esempio, che pure sarebbe tenuta a trasmettere in chiaro Euronews per almeno pochi minuti al giorno, ha pensato bene di farlo alle 5.45 del mattino per limitare al minimo il rischio che qualcuno vi si possa a imbattere.
 
Insomma la strada per mettere a punto un “servizio pubblico europeo” davvero efficace è ancora lunga, sia per ostacoli oggettivi (la molteplicità linguistica) che per la mancanza di volontà politica. Peraltro noi italiani dovremmo comprendere più di ogni altro tanto la potenza dei media come strumento di nation-building quanto i suoi pericoli di deriva antidemocratica. Si dice spesso - scherzando ma non troppo - che per completare l’unità d’Italia ci volle un antieroe popolare come Mike Bongiorno: e forse anche l’Europa di oggi avrebbe bisogno di trovare un suo Mike, per dare finalmente forma al "telespettatore europeo". Il processo di allargamento è tutt'altro che concluso: e in una fase difficile come quella che lo attende, difficilmente si riuscirà a procedere senza che i cittadini dell'Unione si sentano davvero parte della stessa comunità.


Tags: allargamento, europa, eurovisione, Massimo Balducci, mike bongiorno, sanremo, ue, unione europea, weekend,
20 Febbraio 2010


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