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FILM

ACAB, figli di Madama

Una confraternita, quasi un branco quello raccontato da Stefano Sollima nel discusso film "sul G8": in realtà i fatti di Genova sono un pretesto per esplorare le dinamiche tra le file delle truppe celerine, spedite ogni domenica a sedare le rimostranze ultrà davanti agli stadio. Finché non scappa la mano (e il manganello)...


di Gianpaolo Fissore


A.C.A.B. sta per All Cops Are Bastards, motto dei famigerati skinhead inglesi. La più edulcorata versione in salsa nazionale, ovvero “Celerino figlio di puttana”, è il motivetto che, accennato a mezza voce, dà inizio al film di Stefano Sollima, tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini. Nel libro Einaudi la scritta A.C.A.B. campeggiava in copertina. Nel corso film la si intravede di sfuggita in una sola inquadratura , tatuata sul collo di un ragazzo di borgata, presunto teppista da stadio. Il motivetto invece lo accenna più di una volta il protagonista, Cobra (Pierfrancesco Favino), il celerino più celerino di tutti, in tono di sfida, ma anche per rimarcare, a se stesso e ai suoi compagni, proprio nei momenti che anticipano gli scontri in campo aperto, una comune identità.
 
Cobra, Negro, Mazinga (che sarebbe il capo) e company sono la Squadra made in Sollima, regista del cruento e amatissimo serial tv Romanzo criminale, e cioè sono poliziotti, ma anche, consapevolmente, “figli di puttana”. Dietro la scorza costruita con l’abitudine all’esercizio della violenza li vediamo guerrieri in prima linea, indossata l’armatura contemporanea, barricati dietro gli scudi di plexigas e poi lanciati nella carica adrenalinica. Ne prendono - insulti, sputi, pietre, bombe carta, e qualche volta pure coltellate - ma soprattutto ne danno. Professionisti in manganellate e pestaggi contro studenti e operai (solo in occasione del G8 di Genova, come ricorda Mazinga, hanno smarrito il senso della misura) la loro partita vera la giocano ogni domenica contro gli ultrà degli stadi. Questa guerra a portata di mano non sarà il massimo, ma sembra essere anche l’unica occasione in cui ritrovano se stessi. Nel privato infatti, in quando mariti, padri, figli, appaiono del tutto fuori ruolo e fuori tempo.
 
A.C.A.B. è un film sulla ricerca di appartenenza e sull’esercizio della violenza (giusta? di parte, sicuramente di parte), elemento costitutivo di quell’appartenza. Molto local. Romano nell’ambientazione, romanesco nel linguaggio, ancor più fastidioso dell’ambientazione. Abbastanza claustrofibico, sufficientemente inquietante. Quando da Roma - notturna, violenta, razzista - le citazioni si allargano all’Italia è per ricordarci scenari non meno inquietanti: dalla “macelleria messicana” della scuola Diaz, all’assassinio dell’ispettore Raciti nell’antistadio di Catania.
 
acab2.jpgSe questa è la cornice, il senso della vita, per i vari Cobra, Negro e Mazinga, sta nell’appartenere a una squadra di guerrieri: i compagni di battaglia, i “fratelli” garantiscono complicità, costituiscono, nel bene e nel male, l’estrema ancora di salvezza, e sono praticamente l’unica risorsa con cui condividere tempo libero e frustrazioni. Sono poliziotti, come certifica l’adesivo che si appiccano sulla divisa prima di entrare pubblicamente in azione, ma sono soprattutto “i pochi contro tutti”, come illustra il disegno ricalcato da una scena di 300 (il film di Zack Snyder sugli intrepidi spartani alle Termopili), in cui amano riconoscersi, e come attestano le bravate con le quali arrogano a se stessi l’esercizio della giustizia e della violenza.
 
La squadra e la fratellanza sono i primi valori e quasi unici valori di riferimento. Lo Stato italiano è paradossalmente assente se non controparte. Dallo Stato, come datore di lavoro, ricevono ordini a cui non si sottraggono, ma della sua rappresentativa politica apertamente diffidano. Da una parte uno Stato privo di autorevolezza, dall’altra i teppisti da stadio, più razzisti e fascisti e di loro, e di cui sono il dichiarato obiettivo: dove si collocano dunque questi poliziotti? “Stiamo là in mezzo”: la sintesi è nelle parole pronunciate da Cobra quando la sua squadra viene mandata, senza protezione, a fronteggiare gli ultrà scatenati dopo un altro morto sul campo, un giovane tifoso questa volta (il film attinge, con qualche correzione cronologica, purtroppo dalla cronaca vera di questi anni).
 
Se in Romanzo Criminale Sollima era stato capace di dirigere, un po’ perfidamente, la simpatia dello spettattore anche verso qualche componente della banda della Magliana, in A.C.A.B. va a suo merito che la simpatia, alla fin fine, non vada proprio a nessuno, nemmeno all’ammiccante Cobra-Favino. Si chiude, con un primissimo piano sul volto del celerino, teso alla battaglia, in procinto di sbranare o essere sbranato, e con una dissolvenza al nero. Emblematico finale per un film coraggioso: non è mai facile congedare lo spettattore lasciandogli una sensazione di sgradevolezza.



Tags: Acab, all the cops are bastards, g8, Gianpaolo Fissore, Pierfrancesco Favino, poliziotti, recensione, romanzo criminale, stefano sollima,
03 Febbraio 2012

Oggetto recensito:

A.C.A.B. di Stefano Sollima, Italia 2012, 112 m

giudizio:



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