In Ragazzi miei l'attore interpreta Joe, giornalista sportivo alle prese con figlio piccolo autistico, figlio adolescente problematico, una nuova fiamma particolarmente esuberante e le apparizioni della seconda moglie defunta. Tanti drammi ma nessun racconto
di Andrea B. Previtera

“Sonno superficiale, obnubilamento della coscienza reversibile con uno stimolo più o meno intenso. Dal latino soporem sul tema di sop-ire, addormentare”. Sì, perdonatemi, sono andato a cercare la definizione esatta di “sopore”. Perchè volevo iniziare questa recensione scherzando sul fatto che si potesse intitolare il film con un più descrittivo “Ragazzi miei che noia”, ma sarei stato impreciso. Sì, è proprio sopore il termine adatto.
Clive Owen interpreta Joe, in una pellicola che mette in campo un minestrone di elementi ognuno dei quali potrebbe tranquillamente rubare il primo piano all’altro. Ma non ci provano neanche. Se ne vanno in giro, stanchi e sbadiglianti, tutti sul margine del sonno dipinti in colori pastello. Adesso seguitemi con attenzione. Siete pronti?
Dunque: Joe è un cronista sportivo con incarichi internazionali, ma è anche un marito che ha appena perso la moglie (Katy, Laura Fraser) per un cancro fulminante, e questo già sarebbe sufficiente a mettere insieme una storia, io credo. Ma Katy può vantare pessime apparizioni da spettro consigliere shakespeariano, e un intero altro film si potrebbe costruire anche solo su questo rapporto. Si potrebbe. Perchè poi c’è Artie, il figlio piccolo, che è autistico... E vi ho già detto che Katy era la seconda moglie di Joe? Dalla prima il fertile cronista ha avuto Harry, adolescente in tutta la sua... uhm... adolescenza e dunque problematico per cronologia. Volendo ottenere il dodicesimo dan della cintura nera delle pastoie, tuttavia, Joe pensa bene di mettersi anche a frequentare Laura (Emma Booth), giovane madre piena di energie, fin troppe energie.
Che cosa succede? Succede, in sostanza, che il cinema cerca di imitare la vita come in effetti si presuppone faccia in alcuni casi, ma lo fa sprofondato in una poltrona, assopito, mentre getta fiacche occhiate un po’ fuori fuoco in ogni direzione. Ecco, la questione etimologica iniziale in cui mi sono perso per qualche riga proviene da questo: un montaggio lento lento, dialoghi con ampie pause, colonna sonora a base di dolci giri di chitarra acustica, fotografia "pomeridiana". E’ un invito a un pisolino mentre un nonno racconta la storia complicata, estremamente complicata della sua vita, divagando e divagando ancora, facendovi risvegliare un attimo con una battuta sagace o un dettaglio interessante, e poi sonnecchiare nuovamente.
E questo è, stranamente, tutto. Perchè l’autismo di Artie è appena accenato. Perchè Harry non è poi un ragazzo così difficile. Perchè Joe non soffre proprio disperatamente la morte della compagna, e Laura sarà pure energica ma è anche abbastanza scialba. Perchè Joe beve un po’ e tiene la casa in disordine ma questo è quanto. Perchè Joe non è un premio Pulitzer, e – ammettiamolo – per essere ritagliato sulla sagoma di Clive Owen non è neanche un granchè affascinante.
Ragazzi Miei appartiene, in conclusione, a quella categoria seminuova dei film delle quattro del pomeriggio riproposti in versione parahollywoodiana (incontrati l’anno scorso per la prima volta con il già ecensito Crazy Heart o l’eccellente Gran Torino). Passerà inosservato. Se invece deciderete di non fidarvi dell’ombrello al termine di questo chiacchiericcio recensorio - allora, beh, sostituite quantomeno i popcorn con un caffè.
Tags: Andrea B. Previtera, Clive Owen, crazy heart, cronista, Emma Booth, Gran Torino, Laura Fraser, Ragazzi miei, Scott Hicks, The Boys are back,
Ragazzi miei di Scott Hicks, Australia/UK 2009, 104 M

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