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FILM

Le bobine spezzate di Almodovar

L'ultimo film del grande regista spagnolo scivola nella melassa e in metafore incomprensibili


di Elisa Martinelli


“Datemi” diceva la Bergman rivolgendosi a se stessa “la capacità di comprendere questo mondo, questa gente, questi personaggi”. Nel nostro caso, la capacità di discernere i nuovi nati dal genio creativo di Almodóvar, cineasta ripiegato sulle bobine degli abbracci spezzati. Spezzati nella vita, dalla morte.

 
Lena (Penélope Cruz), la protagonista, è figlia, puttana e attrice. Mateo (Lluís Homar) è regista, padre inconsapevole e poi cieco irreversibile. La cecità lo indurrà a sposare una nuova identità, quella dello sceneggiatore Harry Caine, nome bramoso di assonanza e uomo bramoso di desio. L’uragano sulla storia d’amore tra i due è la scatola prima di una matrioska cinematografica, fatta di vicende incastrate l’una all’altra. Nella realtà della finzione il loro è il rapporto tra il contingente, l’istantaneo e l’eterno. Fusione dei principi alla base della corteccia del cinema stesso, di un cinema servito dalle passioni e non al servizio di esse. Le vicende dell’amore vissuto, osteggiato e invidiato vengono appiattite nella melassatura di metafore incomprensibili, celate in gesti scenicamente forti. La telecamera implica un fenomeno di proiezione ed esteriorizzazione del melodramma prediletto da Almodóvar ma è così tesa ad illuminare lo spettatore da renderlo alieno e più cieco del protagonista stesso. L’intreccio della storia girata tra Madrid e Lanzarote si consuma nell’attesa che il film finisca. Perché un film bisogna sempre finirlo. Oppure rimontarlo come farà Harry Caine per restituire la verità del suo lavoro. Il cinema è anche tecnica, questo è quanto sembra suggerirci confuso il regista di Volver.
 
La pellicola trattiene un messaggio eterno, di amore e di amore per il cinema in un tourbillon di emozioni e citazioni (una su tutte la voce consolatoria di Jeanne Moreau). Le scene sono però chiuse in una gabbia di impotenza, alimentate dalla forza straniante della fotografia e non ci permettono di apprezzare il film nella sua instabile concretezza, frantumata in lembi da ricomporre. Come le nostre idee, prima di andare via dalla sala, inappagati e niente affatto convinti dalla scorrevolezza di una pellicola troppo lenta.
 


Tags: abbracci spezzati, almodovar, Elisa Martinelli, penelope cruz, volver,
24 Novembre 2009

Oggetto recensito:
GLI ABBRACCI SPEZZATI, DI PEDRO ALMODOVAR, SPAGNA 2009, 129 M.

giudizio:



3.06
Media: 3.1 (2 voti)

Commenti

Un melodramma con una trama

Un melodramma con una trama sufficientemente complicata cui Almodóvar ci ha abituato, condita con storie di padri non conosciuti e ritrovati, come nel caso di Diego, o padri dominatori il cui figlio, Ray X, crea vendetta e la riscrittura di una storia, incarnando il ruolo, silenzioso, perfido e tenace, del regista che governa la progressione degli eventi. Più che una (auto)citazione c'è un parziale rifacimento di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" (1988), uno sdoppiamento e una finzione nella duplicazione celebrativa e divertita della finzione stessa. Variati risultano i ruoli delle attrici, accentuando l'illusione del meccanismo cinematografico. La ormai nota storia di Pepa e Iván, fatta di gazpacho, un letto bruciato e maletas protagoniste, riconoscibile subito dai brillanti pomodori sminuzzati accanto ai sonniferi, è inquadrata da un altro punto di vista. Rossy De Palma, nel ruolo che fu di Julieta Serrano, segna la scena con poche battute eclatanti. Chus Lampreave rimane la portiera di Pepa, anche se più moderna ed elegante. Il tempo passa come i vent'uno anni che separano le due pellicole, ma il cinema è sempre uguale a sé stesso o anche profondamente diverso; Pedro altera le scene delle sue "Donne" così come il perfido (?) Ernesto Martel de "Gli abbracci spezzati" stravolge il film di Mateo/Harry. Almodóvar si regala l'occasione di cambiare le sue stesse protagoniste e in parte anche l'intreccio narrativo; introduce una gamba rotta per esigenze dovute alla vita di Lena e alla gelosia di Ernesto. Quel che complessivamente rimane è lo spezzarsi dell'abbraccio, e la passione, nata tra Lena e il regista, interrotta da una morte violenta. Come spesso accade, il passato si intreccia al presente, in un meccanismo utile per raccontare le storie, un'attività che arricchisce da secoli.

Ho nostalgia della vena comica di Almodóvar. Roberto Urios

Pienamente d'accordo con la

3.06

Pienamente d'accordo con la recensione. Citare e stracitare capolavori e divi del passato (senza contare la strizzata d'occhio a sé stesso di "Chicas y maletas") resta un espediente da studentello del DAMS (o dello IULM?), quando il film in sé non riesce ad accendersi, e ad accendere lo spettatore. Un gran paradosso: un film sulla passone (amorosa e cinefila) del tutto svuotato di emozioni. Che occasione sprecata.

Pienamente d'accordo con la

3.06

Pienamente d'accordo con la recensione. Citare e stracitare capolavori e divi del passato (senza contare la strizzata d'occhio a sé stesso di "Chicas y maletas") resta un espediente da studentello del DAMS (o dello IULM?), quando il film in sé non riesce ad accendersi, e ad accendere lo spettatore. Un gran paradosso: un film sulla passone (amorosa e cinefila) del tutto svuotato di emozioni. Che occasione sprecata.

Condivido il giudizio della

Condivido il giudizio della giornalista, il commento di Anonimo al suo mi sembra semplicemente invidioso...su chi ha coraggio (e gli argomenti) di esprimere dissenso al lavoro del sommo Pedro..ma se il RE è nudo...è nudo...oppure ormai in questa Italia non si può criticare il potere da qualunque parte si guardi senza essere tacciati di essere "abbagliati" !! Giudizio al giudizio. Forza giudizio universale senza condizionamenti!!!! Buona domenica!! Vecchio marinaio

Non farò una recensione della

3.06

Non farò una recensione della recensione del film. Lascerò un personalissimo commento.

Per me il film del pur ottimo Pedro è stata una fatica infelice (nel senso più ampio in cui si voglia intendere).

(Felice di essere uscito dalla sala, pur con i fari puntati negli occhi)

Anche Elsa Martinelli, come

Anche Elsa Martinelli, come molti altri, è stata totalmente abbagliata dalla bellezza di questo film, da essere diventata cieca. Leggendo la sua recensione, infatti, sono portato a pensare che non abbia visto il film (o che ne abbia visto un altro).

Gli abbracci spezzati è un film sulla creatività e sul processo creativo. Che spiega benissimo come l'opera d'arte nasca dalla passione, dal lutto necessario alla separazione da quella passione, dallo sguardo che si fa cieco al mondo (come da sempre sappiamo di Omero) e dalla possibilità del racconto che arriva quando si riprende coscienza di ciò che si è, quando il lutto si conclude e si può toranre ad essere se stessi, anche se diversi. Solo allora si può montare il film: si può dare vita all'opera d'arte.

Passione e lutto originari raccontati in modo splendido, non ammantati da simolismi e perciò veri.

A Martinelli mi permetto solo un consiglio: quello di rivedere il film, senza farsi abbagliare. Buon w.e.

Dom

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