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LIBRI

D'Amicis, qui è la televisione

Nel romanzo La battuta perfetta l'autore di La guerra dei cafoni rilegge la storia italiana degli ultimi cinquant'anni attraverso il piccolo schermo


di Remo Bassetti


Quant’è bravo Carlo D’Amicis. Con La battuta perfetta fa un altro salto nel suo convincentissimo percorso letterario e offre un bel romanzo politico incentrato sulla televisione. Attenzione: non solo sulla televisione come fondamento e laboratorio dell’impero berlusconiano, ma sulla televisione quale lente attraverso cui leggere la storia italiana degli ultimi cinquant’anni
 
Potrei dire sulla televisione e anche sul televisore, richiamando in qualche modo la battuta di Eduardo De Filippo che, a una telefonata che esordiva con un “Qui è la televisione” rispondeva “Un attimo, le passo il frigorifero”: perché alla fine, benché si parli di personaggi che fanno la tv, nel libro transita un arguta antropologia dell’homo videns, che persino nell’intimità tende ad imitare interiormente i modelli che gli arrivano per via catodica. 
 
Così la sua sensazione è di vivere circondato da un pubblico che ha il dovere di compiacere e del quale desidera l’applauso. Il piccolo schermo, proprio mentre cesella un mondo che disgrega i legami sociali nell’apologia della mercificazione, crea tra gli individui una nuova, sottile forma di reciproca dipendenza, superficiale non meno che vitale: l’altro non conta però è necessario piacergli. 
 
Il protagonista Canio Spinato è un buon paradigma di questo orizzonte, che cerca di elevare a valore professionale. Lavora infatti a Mediaset, e lì conquista l’apprezzamento di Berlusconi, del quale diventa barzellettiere ghost writer e controfigura caricaturale. Il suo approdo alla tv commerciale è la nemesi del padre che, anni prima, aveva lasciato la carriera di maestro elementare a Matera per approdare alla Rai democristiana con la raccomandazione di un parroco. Il figlio diventa il ritratto della decadenza cafona, incolta, grottesca e ridanciana di quel Paese che lui, ammiratore e aspirante emulo del maestro Manzi, aveva immaginato si potesse educare, pure attraverso uno strumento del quale aveva intuito precocemente la pericolosità. 
  
Il declino civico dell’Italia però è il fallimento di quello stesso progetto pedagogico, viziato da elitismo, ipocrisia, conservazione sociale, moralismo bigotto. Forse viziato anche da anaffettività, quella stessa che corre tra padre e figlio (padri e figli, poiché l’esperienza genitoriale di Canio con il piccolo Silvio, così battezzato in omaggio al suo Dio, è non meno deludente).
 
Il romanzo dà conto della coerenza di questa mutazione con deliziosi mini plot, concepiti dalla notevole facilità melodica di D’Amicis. Trascorse una sessantina di pagine si rimane stupiti di quante idee autosufficienti abbiano scintillato: dall’irruzione quasi magica della tv a Matera durante le riprese cinematografiche di Pasolini, alle grane che toccano al papà Filippo per la sua frequentazione dell’imprenditore filocomunista Alvaro Marchini o alla telecronachistica orazione funebre al cane Scaramacai. 
  
Nella sospensione tra realismo e grottesco che connota il romanzo, le apparizioni di Berlusconi sono sbilanciate sul secondo dei due poli, ancor più nel finale, farsesco un po’ alla maniera del Divo di Sorrentino. La cronaca è sempre presente, ma trasmutata letterariamente più che tallonata. La scrittura è attentissima, divertente e gioca felicemente a mischiare i registri, anche quelli dialettali. La scelta di procedere per salti temporali e flash-back è giusta, anche se in certi momenti il montaggio affatica il lettore un po’ più del dovuto. I protagonisti hanno tratti magistrali, e il rapporto tra Canio e la sua ex compagna di classe secchiona Graziella, magistrato che si trova a indagare sul reato di favoreggiamento alla prostituzione di cui lui è accusato, esibisce una perfetta delicatezza psicologica. 
 
A proposito di perfezione, la battuta perfetta è quella che Canio sogna di pronunciare, quella a cui nessuno saprebbe resistere, magari nemmeno il figlio Silvio. E’ il sogno proibito dell’imbonitore, la sua segreta consapevolezza di vivere in un mondo di cartapesta, unita al desiderio di rincantucciarvisi in un rannicchiamento fetale, all’ombra della battuta ultima, catartica e definitiva.



Tags: carlo d'amicis, homo videns, la battuta perfetta, Minimum fax, pier paolo pasolini, Remo Bassetti, Silvio Berlusconi, televisione,
15 Giugno 2010

Oggetto recensito:

Carlo D'Amicis, La battuta perfetta, Minimum fax 2010, p. 363, euro 15

giudizio:



7.629228
Media: 7.6 (13 voti)

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