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DISCHI

La banda di Mike Stern

Il chitarrista statunitense in Big Neighborhood riunisce famosi colleghi, da Steve Vai a Esperanza Spalding. Un album corale in cui tutti, musicisti e ascoltatori, si divertono


di Federico Capitoni


A un primo ascolto, magari distratto, potrebbe venire da esclamare: “uff… Ecco l’ennesimo caso di onanismo, si divertono solo lui e i suoi amici musicisti virtuosi”. Ma non è così, Mike Stern non si è mai parlato addosso – non ne ha mai avuto bisogno – e fin dagli esordi nei primi anni ’80 ha costruito uno stile e un suono inconfondibili. Certo che si diverte, è un musicista felice, e come non capirlo immaginandolo chino e ciondolante sullo strumento che strizza l’occhio di qua e di là ai così tanti colleghi che hanno partecipato al disco? Il più eminente è forse Steve Vai che suona in due tracce, tra cui quella di apertura che dà il titolo all’album. Big Neighborood è un blues, che si trasforma presto in un rock dai connotati hard, scaturito dall’estemporaneo carteggio chitarristico tra Mike e Steve. Bello il tema di 6th Street, il brano che segue e che vede la collaborazione di un altro grande esponente delle sei corde, Eric Johnson, il quale rifarà capolino nella raffinata Long Time Gone: quello che sorprende di Mike Stern non è tanto la trovata melodica, quanto il suo esito: ti stupisce non nell’invenzione, piuttosto nella constatazione di dove questa imprevedibilmente vada a finire. È soprattutto il caso di Reach, un pezzo che cattura al primo impatto. La voce di Richard Bona doppia le note che Stern organizza dapprima in maniera vivace e dopo distende con un cambio di ritmo che fa respirare ampiamente tutto il gruppo. E poi via, tutti lanciati verso un’improvvisazione dal carattere world e irresistibile. L’uso della voce a ricalcare la linea melodica, di sapore methenyano, forgia anche Song for Pepper e Bird Blue, e stavolta la voce è quella bellissima di Esperanza Spalding, ennesimo ospite illustre. Si va avanti così, a completare la gamma dei suoni con la tromba di Randy Brecker, il sax di Bob Malach e l’organo di John Medeski (squisita è That’s All It’s ).
Dire che Mike Stern abbia messo su una band di supporto – visti i nomi – sarebbe inesatto, mentre si può affermare che si tratti di un album corale le cui regole sono dettate dal chitarrista statunitense e rispettate però con piacere. È uno di quei dischi completi, non in quanto capolavoro assoluto, ma poiché ognuno può trovare almeno un pezzo che possa amare; sono soddisfatti tutti i gusti e ci si diverte, assieme a Mike, dall’inizio alla fine. Vero, non tutto quello che Mike Stern ha messo sotto il sole è nuovo, ma di soli ne merita più d’uno.



Tags: Big Neighborhood, Federico Capitoni, Mike Stern, Steve Vai,
10 Dicembre 2009

Oggetto recensito:
MIKE STERN, BIG NEIGHBORHOOD, HEADS UP
giudizio:



6.360003
Media: 6.4 (3 voti)

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