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MUSICA - POP

Post rock da camera

Cloud Room Glass Room ci restituisce i Pan American di Mark Nelson nella loro versione più d'atmosfera. La sua chitarra potrà non stupire come una volta, ma conferma una capacità di giocare con i suoni e con gli ambienti fuori dal comune


di Simone Pilotti

 


Dopo vent'anni di lavori discografici, dopo aver militato in due band e dopo aver preso parte ai più svariati progetti musicali è difficile che un artista possieda ancora la capacità di stupire. E' il caso di Mark Nelson: dapprima chitarrista e cantante negli americani Labradford e in seguito protagonista di un'avventura da solista, celandosi dietro il nome Pan American. E' il caso, nello specifico, di Cloud Room, Glass Room, sedicesimo album dell'artista a stelle e strisce, in uscita quest'estate per l'etichetta Kranky.
 
Si diceva dell'incapacità di stupire, con un disco a sorpresa, un colpo a effetto; quest'incapacità emerge nettamente dalle sette tracce di questo disco panamericano. Tuttavia non possiamo dire che Cloud Room, Glass Room non sia un buon album, l'ennesimo, panamerican.jpgse torniamo a considerare la carriera di Nelson. E' difficile, infatti, non farsi trasportare e cullare dal piacevole fluire magmatico delle melodie distorte della chitarra. Ancora una volta, il suond creato da Nelson è un ambient minimale, in grado di creare atmosfere tanto suggestive quanto buie ed oscure, con una netta influenza post-rock. I suoni ipnotici, le trame dense ma essenziali, la ritmica come una vera e propria spina dorsale e le melodie sviluppate lungo un filo che percorre i cinquanta minuti dell'album rientrano perfettamente nelle composizioni dei Pan American, ma danno vita ad un disco gradevole, mai piatto né ripetitivo.
 
Cloud Room, Glass Room è stato ideato e composto interamente durante il tour dell'anno passato, registrato con l'aiuto di Steven Hess alla batteria, già collaboratore di Nelson in White Bird Release (la fatica discografica precedente, del 2009), e Robert Donne (altro componente dei Labradford) a creare i lenti riff di basso. Collaborazioni quanto mai utili, viste le efficaci tecniche di percussione di Hess, capace di creare il supporto lungo il quale si sviluppano i motivi tortuose della chitarra, e viste le ordinate note di basso di Donne, rendendo le atmosfere calde e corpose.
 
La traccia che apre il disco, probabilmente la più riuscita, è The Cloud Room, nella quale un riff ipnotico di basso ed effetti elettronici creano la base per le note di chitarra che si spiegano gradualmente. Relays è un altro ottimo brano, dove il sound è più che mai minimale mentre le note distorte si impongono progressivamente. Tutta la padronanza delle percussioni di Hess fa da protagonista in Glass Room At The Airport, mentre la chitarra compare e scompare con delle distorsioni lacerante. Chiude l'album Virginia Waveform, strutturate su un'atmosfera tipicamente post-rock, sulla quale la chitarra viaggia lentamente, fino alla dissoluzione.
 
Dunque, se da un lato Cloud Room, Glass Room non rappresenta il diamante della discografia dei Pan American, in quanto prevedibile e privo di un vero punto di svolta verso un livello superiore, dall'altro lato Mark Nelson conferma una rara capacità nel comporre. Grazie all'uso perfetto della distorsione, la sua chitarra, supportata da ottimi effetti elettronici e una ritmica impeccabile, crea un sound sempre piacevole e un ambient evocativo, senza mai ricadere in un mero esercizio stilistico o in una banale ripetizione.



Tags: Cloud Room Glass Room, kranky records, Mark Nelson, Pan American, post rock, recensione, Simone Pilotti,
22 Luglio 2013

Oggetto recensito:

Pan American, Cloud Room Glass Room, Kranky records 2013

 

giudizio:



8.01
Media: 8 (1 vote)

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