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MUSICA

Ear Injury, a stile libero

Tre napoletani che fanno parlare (e ballare) in inglese il pubblico dello stivale. Elettronica, dub, hardcore, citazioni pop che spaziano dalla cinematografia di Tarantino agli scandali in Vaticano. Incontriamo questo strano trio durante la tournèe che li sta svelando all'Italia dell'underground


di Gabriel D'Amico

 


In trasferta a Firenze, si è scatenata la danza di seicento persone che prima di allora non li avevano mai nemmeno sentiti nominare. Gli Ear Injury si stanno facendo conoscere molto rapidamente nel panorama underground italiano: formatisi poco più di un anno fa, convincono per lo stile originale con cui si smarcano dalle gabbie dei ‘generi’. “Facciamo quello che ci piace, senza porci vincoli” dice Fioretti rollandosi una sigaretta “nei nostri pezzi spaziamo dall’elettronica, al dub, all’hardcore. È sicuramente una scelta poco commerciale, ma a quanto pare funziona. Il pubblico si diverte.”

band 4 (1).jpgCinque giorni dopo Firenze siamo a Napoli, alla Casa della Musica. La trasferta toscana, una notte passata all’addiaccio sotto il temporale, ha lasciato in regalo al chitarrista, Gabriel D’Ario, una febbre da delirio. Imbottito di cortisone e trascinatosi a forza sul palco, per qualche istante sembra stia per svenire sotto la luce bollente dei riflettori. Visto da sotto al palco, non lo diresti mai che D’Ario è tenuto insieme da medicine e buona volontà. Bandana sul volto, salta come una pallina da flipper e si produce in evoluzioni di note da standing ovation. Quando a sorpresa tira fuori un archetto e comincia a suonare la chitarra elettrica come un violino, un’ovazione si alza spontanea.
 
Il segreto degli Ear Injury è la preparazione classica. Dietro il sound potente e ritmato, che a voler trovargli una parentela si finirebbe col pogare nelle discoteche berlinesi più in voga, c’è il formalismo figlio di anni di studio al San Pietro a Majella, lo storico conservatorio di Napoli. I concerti di questo gruppo giovanissimo sono uno spasso per chi li ascolta, una progressione di slanci vibranti, ma dietro le quinte c’è una preparazione metodica e serissima.
 
Anche nei testi i riferimenti non sono mai banali. Da Quentin Tarantino, cui hanno dedicato un’omonima canzone, fino alla stand up comedy anglofona, il gruppo spazia in decenni di cultura pop. 
“Lo spunto per 10.000 pedophiles in red velvet ci è venuto guardando la registrazione di uno spettacolo di Bill Connolly, un comico scozzese. Era una battuta sul corteo di pedofili in abiti purpurei che accompagnava la salma di Papa Wojtyla al sepolcro”. Vincenzo Di Costanzo, cantante e frontman del gruppo, ti spiazza con una parlata squillante e pacata. Quando canta, la voce è un ringhio, cupo e gutturale, che impatta sul pubblico come un pugno ben assestato. Perché i testi sono in inglese? Ci pensa un attimo sopra prima di rispondere: “Ci è venuto naturale. Si presta bene al tipo di musica che facciamo. E a essere sinceri è anche più spendibile all’estero”.
 
Durante lo show napoletano un gruppo di fan canta in coro il ritornello di Rudeboyz. Un manipolo scatenato si lancia a pogare con violenza, per gli altri l’headbanging è quasi un dovere. Qualcosa di fresco e originale che nasce in un panorama musicale appiattito e standardizzato e che lascia pochissimi spazi di manovra alla sperimentazione. Per una sera la gioventù italiana respira le atmosfere tedesche, olandesi, inglesi. Il pubblico risponde molto positivamente, segno che la qualità paga, che la schiavitù provinciale del cortile di casa può essere infranta. Gli Ear Injury ci credono, sono ottimisti. E non solo per questo meritano gli applausi.



Tags: club dogo, Ear Injury, Gabriel D'Amico, Gian Paolo Fioretti,
17 Luglio 2013

Oggetto recensito:

Ear Injury

 

giudizio:



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