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INTERNET

Il rovesciamento della Googlecrazia

Il motore di ricerca per eccellenza ha cambiato le nostre vite, dettando a tutti le proprie regole nello scambio delle informazioni in rete. Ma non è detto che il suo regno durerà per sempre, anzi: ci sono molti motivi per augurarsi che finisca al più presto.


di Massimo Balducci


La notizia del sorpasso di Facebook su Google negli Usa è stata riportata, almeno sulla stampa nostrana, con fin troppa enfasi (“Facebook, l’imperatore della Rete” ha sparato Repubblica a tutta pagina). In compenso molti “esperti del web” si sono subito affrettati a precisare che il dato andrebbe ridimensionato, anche perché si riferisce solo al numero di visitatori conteggiati sulle rispettive homepage nell’ultima settimana, e non considera i tanti servizi aggiuntivi offerti dalla stessa Google oltre al motore di ricerca (se siete interessati ad approfondire, leggete ciò che scrive in proposito il solito Attivissimo).
Ma più che accapigliarsi sulle possibili interpretazioni del calcolo, manco fossero i risultati del televoto a Sanremo, quello che mi pare sconvolgente e inequivoca è la tendenza di questi ultimi due anni: Facebook continua a crescere in modo esponenziale, mentre Google si è ormai assestata. Più che una sfida tra aziende 2.0, peraltro alleate, ciò che sta avvenendo sembra essere un ennesimo gigantesco mutamento nel nostro modo di utilizzare la Rete. 
 
E’ bene avere presente, tanto per cominciare, che il web odierno è uno spazio solo apparentemente libero e democratico. Visto da fuori, d’accordo, è relativamente aperto, nonostante i disperati tentativi da parte della politica di tenerlo sotto controllo. Ma visto da dentro, si è trasformato da anni in una Googlecrazia. Da quanti anni, non siamo neanche in grado di dirlo con esattezza: perché l’affermazione monopolistica del motore di ricerca è stata rapida, sì, ma al tempo stesso graduale. Non c’è un giorno in particolare nel quale ci siamo svegliati dicendoci “ma guarda un po’, da oggi non posso più fare una ricerca senza Google. Segnamoci sul calendario questa data memorabile”. Forse a posteriori possiamo fissare l’inizio del regime intorno al convenzionale 11 settembre 2001, o forse un paio di anni dopo, ma che sia una dittatura (in campo culturale intendo, o meglio nel campo del Sapere) avrei pochi dubbi.  
 
Raramente, nella storia umana, si è visto un analogo entusiasmo collettivo nell’affidare l’intera gestione di un sistema nelle mani di una persona sola. Anzi: nelle mani di un algoritmo. Quest’algoritmo era il migliore? Certo. Ricordo a malapena, per dire, quando nel 1997 le ricerche si facevano con un certo Altavista o altri di cui oggi abbiamo perso le tracce (senza peraltro che nessuno ne sentisse la mancanza). Google li ha debellati trionfalmente, ed entro certi limiti l’era della Googlecrazia ha reso più facile e comoda la vita di molti di noi. 
Se l’abbia resa migliore, è però un altro discorso. E non parlo qui delle nostalgie epocali e cosmiche del tipo “ahi signora mia, una volta i giornalisti se ne andavano sul campo a trovare le notizie mentre oggi scaldano la sedia per cercarle su Google” e simili. Restiamo sul web, e chiediamoci molto banalmente: è meglio o peggio la Rete nel 2010 rispetto, diciamo, al 2004? Io credo che se non vogliamo raccontarci favole, occorre ammettere che il livello delle informazioni è crollato drasticamente. Di questo fallimento non è semplice parlare, per molti motivi: intanto perché non è un dato misurabile ma percettivo (anche se non per questo meno reale ed evidente); poi perché nel frattempo il numero sia della domanda che dell’offerta sul web è continuato a crescere, dando l’impressione che il boom non si sia mai interrotto; infine perché sembra smentire le utopie secondo le quali una libera circolazione delle informazioni era destinata per forza a realizzare il migliore dei mondi possibili.
 
Ma proprio questo è il punto, e lo ripeto: il web non è libero proprio per niente. Noi siamo liberi di scriverci e di leggerci (più o meno) quello che vogliamo; ma non siamo “noi”, né “il popolo della rete”, a decidere come la Rete nel suo complesso gestisce queste informazioni. Che il regime sia democratico, poi, è una barzelletta. C’è una precisa gerarchia che regola l’importanza dei siti, e non è il numero dei lettori: si chiama pagerank. Il pagerank va a livelli da 1 a 10, come le caste in India, ed è quello che fa la differenza fra chi ha successo e chi rimane un paria. E indovinate chi decide, invariabilmente ed insindacabilmente, tutto questo? Esatto: il caro leader, l’algoritmo di Google. E il web non è libero, soprattutto, perché le regole in base alle quali Google organizza le informazioni sono diventate le regole in base alle quali le stesse informazioni vengono inserite. Sta cambiando, ed è già cambiato in questi anni, perfino il nostro modo di scrivere. Un titolo non si sceglie più per la sua efficacia, e nemmeno per catturare l’interesse del lettore: si sceglie per catturare l’interesse del robot, che in base alle parole contenute (senza tanti riguardi per la logica, la sintassi, l’arguzia, o la grammatica) provvede a posizionarli sulla solita destinazione: Google. E lo stesso avviene per i contenuti, vittime finali di questa schiavitù del posizionamento. Una volta la fantascienza immaginava modi assai spettacolari coi quali le macchine avrebbero preso il sopravvento sugli esseri umani; ma proprio questo è avvenuto durante l’ultimo decennio, nel campo del Sapere: per di più tra gli applausi, le copertine di Time, e senza bisogno di razzi missile. 
 
Sinceramente, finora non avevo mai pensato più di tanto che anche questo sistema un giorno potesse finire. E forse la notizia, di per sé effimera, del sorpasso di Facebook può servire soprattutto a questo: farci capire che nemmeno la Googlecrazia è eterna. E che il modello dei social network - non basandosi su una macchina ma su una sorta di (si spera) intelligenza collettiva - potrebbe rivelarsi più adatto alle reali esigenze di chi, magari nel 2015, cercherà o offrirà informazioni. Ci sono stati innumerevoli tentativi (da ultima l’ormai abbacchiata Microsoft) di battere Google sul suo stesso terreno, inventando algoritmi migliori e più intelligenti, e finora sono puntualmente andati a vuoto; e perfino se qualcuno riuscisse davvero a trovare la nuova pietra filosofale dei motori di ricerca, il dominio di Mountain View è ormai talmente totalitario che difficilmente lascerebbe ad altri poco più che le briciole. Del resto, per comodità e per pigrizia, noi utenti siamo ormai abituati a pensare che ci sia un solo motore di ricerca: quindi perché dovremmo perdere tempo a cercare alternative?
 
L’unica cosa, a questo punto, che può cambiare l’esito della partita è l’avvento di un soggetto che scompagina la fisionomia stessa del gioco. In altre parole, possiamo ormai accettare l’idea che sul terreno dei motori di ricerca Google resterà padrona ancora per chissà quanto: ma non è detto che i motori di ricerca continueranno ad essere il veicolo privilegiato per la circolazione delle informazioni. Nemmeno è detto, naturalmente, che il loro ruolo predominante sarà sostituito dai social network. Anche perché lo stesso Facebook, poverino, è tuttora per molti l’emblema del “peggio di Internet”. E non dico solo per Schifani, eh: fa sempre molto figo dire “io non sono su Facebook”, o “ce l’ho ma non lo uso mai”, o (la migliore) “mi ero iscritto già nel 2007 ma poi mi sono cancellato”. E ci si potrebbe fare un dizionario del finto-snob 2.0, a raccogliere i luoghi comuni sull’argomento: tornate indietro di quindici anni, e sono le stesse cose che si dicevano del web nel suo complesso; tornate indietro di dieci, e sono le stesse cose che si dicevano dei blog. Questi atteggiamenti di compiaciuta superiorità, purtroppo per chi li incarna, si dirigono sempre contro il bersaglio sbagliato: perché i vari spaventapasseri che si sono avvicendati e sovrapposti nella storia di Internet (il porno, la pirateria, le truffe, lo spam e l’estremismo politico, tanto per citare qualche esempio a caso) sono serviti soltanto a distrarre tutti da quei soggetti che nel frattempo - silenziosi e indisturbati - si pappavano il controllo del sistema. 
Oggi sappiamo che una Rete non potrà essere davvero democratica finché non consentirà la compresenza al suo interno di molti modelli diversi per la circolazione del Sapere. E l’età della Googlecrazia, in questo ancora lungo cammino, non sembra molto diversa dal buon vecchio Medio Evo.


Tags: blog, facebook, google, informazione, internet, Massimo Balducci, microsoft, monopolio, motore di ricerca,
22 Marzo 2010


giudizio:



4.583079
Media: 4.6 (13 voti)

Commenti

interessante e

7.02

interessante e inquietante...non l'avevo mai vista sotto questo punto di vista...

è una questione sulla quale

è una questione sulla quale raramente riflettiamo. Il rischio è, ancora una volta, di sentirsi liberi sul web, di sentirsi tra coloro che influenzano le scelte, mentre, senza saperlo, avviene il contrario e ogni nostra scelta è già determinata, ma dandoci l'illusione che sia autonoma...

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