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ATTUALITA'

La prima guerra etnica d'Italia

Discriminati dalla legge, schiavizzati dall'economia mafiosa, odiati dalla gente: gli stranieri si ribellano. Ecco perché i fatti di Calabria rischiano di non rimanere un caso isolato


di Mino Fuccillo


I neri sono brutti, sporchi, cattivi e… schiavi. I bianchi sono puliti, normali, spaventati e… armati. Di fucili, rabbia e razzismo. E’ la prima guerra etnica d’Italia e solo per comprensibile, prudente e istintiva autocensura l’abbiamo chiamata “La rivolta degli schiavi”. Fin lì ci siamo arrivati, fino ad usare la parola “schiavi” che, fateci caso, non ci sorprende più di tanto. Segno che in fondo lo sapevamo che in Italia all’alba del terzo millennio c’è la schiavitù, solo che la chiamiamo “nuova” e quindi è una cosa che ovviamente non va ma praticamente tanto schifo non ci fa.
Il vero titolo al film però non abbiamo avuto cuore, intelletto qualcuno magari sì, di darlo. Il vero titolo è appunto la “Prima guerra etnica”. Prima, perché la prima è ovviamente esplosa nel luogo più “illegale” d’Italia, ma altre ne seguiranno, in altri luoghi. Guerra, perché si è sparato, si è data la caccia all’uomo, si sono bloccate le ambulanze per impedire che trasportassero “feriti nemici”, si è combattuto per il possesso fisico del territorio, si sono formate milizie e perché il nemico era chiunque indossasse un’altra divisa dalla nostra. Etnica, perché la divisa era la pelle, il colore della pelle. Un film dove la parte dei buoni non l’ha recitata nessuno, era assente dal copione e dalla sceneggiatura.
 

Prima scena del film: da anni migliaia di neri lavorano nei campi. Pagati 25 euro al giorno. Orario di lavoro: dall’alba al tramonto. Di quei 25 euro, cinque vanno al caporale arruolatore che ne convoglia gran parte alla cosca criminale cui fa riferimento o da cui è controllato. Diciamo che è la via attraverso la quale i neri pagano una “tassa di soggiorno” alla ’ndrangheta, con la quale la ’ndrangheta sostiene un po’ di occupazione locale. Sempre da quei 25 euro vanno detratti i due che l’autista del pulmino riscuote per portare i neri al lavoro. I 25 euro sono la quota calcolata e stabilita dai proprietari delle terre e delle coltivazioni. Un lavoratore regolare costa tra salario, tasse e contributi 40 euro al giorno. Il proprietario di terra e contadino dice che a quota 40 euro lui va “fuori mercato”. Con 25 euro invece sta “dentro il mercato”. Quindi, fondamentali dell’economia alla mano, l’imprenditore teorizza, in maniera più o meno cosciente, l’assoluta legittimità del lavoro nero-schiavile.
Schiavile, perché i neri si sopportano a due precise condizioni. La prima: non pretendano nulla. Se sorge una discussione sulla quantità e qualità del lavoro, il nero deve “stare al posto suo”. Altrimenti al posto suo ce lo si rimette più o meno a forza. Qui in Calabria sanno come fare, al posto loro ci stanno e ci sono tenuti più o meno tutti, da generazioni. E non è il carabiniere che ti tiene al posto tuo, è un altro che tutti conoscono. Seconda condizione per sopportare i neri: al tramonto devono sparire nelle loro tane. Se entrano in un saloon dei bianchi, forse non li si sbatte fuori, ma devono accettare di essere trattati da neri, umanità non diversa (“Non siamo razzisti, per dio!”) ma inferiore (“Pisciano, sporcano, puzzano”).
 

Seconda scena: scherzando e ridendo un giorno qualcuno reagisce alla pisciata con una fucilata. Quasi a salve, solo pallini ad aria compressa. Solo per tenere i neri “al posto loro”. Quel giorno, ma poteva essere un altro qualsiasi giorno, i neri si ribellano. Con rabbia violenta: sfasciano, minacciano, invadono. Non rispettano neanche le donne, saccheggiano. Commettono reati ma soprattutto occupano la terra dei bianchi. Come in ogni loro rivolta da secoli, gli schiavi più o meno consciamente sanno che vinceranno per qualche ora, poi saranno repressi: quel che vogliono davvero è distruggere in fretta, prima che arrivino le forze dei bianchi e i bianchi in forze.
Terza scena: la riscossa dei bianchi. Pattuglie di “pulizia del territorio” dotate di mazza e fucile. Milizie spontanee e speciali: l’auto o il trattore usati come mezzi per “spazzare il nero”. E’ la caccia al nero non tanto e non solo per punirlo quanto per cacciarlo via, eliminarlo dal territorio, è la pulizia etnica allo stato puro e nascente.
Quarta scena: lo Stato, quel po’ di Stato che c’è, si mette in mezzo. Ma i bianchi lo guardano con sospetto ed ostilità: “Bastardi, danno da mangiare ai neri!”. Per i bianchi l’unico Stato buono è quello che caccia i negri. Lo Stato vero, quel po’ che c’è, dice: “Questione di ordine pubblico ma anche di lavoro nero, di illegalità italiana e indigena, di assistenza sanitaria”. Nelle parole e nei fatti uno Stato piccolo suo malgrado tenta di impedire il linciaggio di propaganda e di fatto. Poi c’è lo Stato “chiacchiere e distintivi”. Il ministro dell’ordine pubblico offre munizioni di Stato alla guerra etnica, proclama: “Troppa tolleranza verso i neri”.
 

La prima guerra etnica dunque e abbiamo aggiunto “d’Italia”. Perché è la prima volta, ma solo in Italia. Succede da noi quel che è sempre accaduto, in ogni tempo e in ogni luogo. Puoi usare ed estendere il lavoro nero fino a farne sistema, puoi far diventare il lavoro nero delle altre etnie, dei clandestini, lavoro in condizione schiavile. Lo puoi fare, nessuno ti ferma e molti ci guadagnano, puoi perfino invocare le leggi dell’economia a sostegno di quel che fai. Puoi decretare per legge che i clandestini non ci devono essere ma, poiché ci sono e lavorano per te italiano, non devono farsi vedere e al calar del sole devono sparire nelle tane. Puoi, come si comincia a fare al Nord, ispezionare le loro case a caccia di documenti scaduti. Puoi comunicare loro per via di legge, stampa e tv che ti fanno un po’ schifo. Puoi, d’accordo con il sentire popolare, additarli come fonte di guai e di contagio. Puoi fare tutto questo, per farlo in Italia ci sono le condizioni materiali, le leggi di Stato e i consenso d’opinione. Però non puoi farlo gratis. Ovunque e sempre nel tempo e nel mondo quando hai fatto questo il prezzo è la rivolta. Rivolta bestiale di quelli che hai trattato come bestie.



Tags: 'ndrangheta, calabria, caporale, guerra etnica, immigrazione, lavoro nero, maroni, Mino Fuccillo, neri, razzismo, rivolta immigrati, rosarno, schiavitù,
13 Gennaio 2010


giudizio:



9
Media: 9 (8 voti)

Commenti

se si avesse voglia di

se si avesse voglia di scherzare su un argomento così serio verrebbe da chiedersi per quale strano motivo gli africani di Calabria, dopo aver pagato 2000 USD per un viaggio a piedi nel deserto e aver vomitato su un gommone per arrivare a Lampedusa, una volta sbarcati in Italia abbiano deciso di fermarsi a Rosarno, comune commissariato per infiltrazioni della ndrangheta, invece che proseguire per Todi, Volterra, San Gimignano o Riccione? (non me ne voglia l'amica Carla Monaco

Risiedo in Paesi Africani da

Risiedo in Paesi Africani da 30 anni. Nella maggior parte dell'Africa la stragrande maggioranza dei suoi abitanti ha sempre vissuto e vive più o meno come in quel paese che hanno fatto vedere alla TV. Con la differenza che guadagnano, se lavorano (cosa non comune), mediamente circa 7 (sette) euro al giorno. La nostra azienda ne impiega alcune centinaia e li paga di più del compenso medio ovvero 8 euro. I loro amici e parenti in Europa comunicano a quelli rimasti a casa che l'Italia è il paradiso ed il loro sogno è di passare almeno un annetto in vacanza nei centri di accoglienza italiani considerati come hotel Hilton. Stimiamo che una ventina di milioni verranno nei prossimi anni. Aggiungo che anche gli Arabi, che vivono un pochino meglio, hanno visioni simili; sono anche animati dal sogno della rivincita islamica. Loro stimano e rietngono che tra neri ed arabi saranno 22 o 23 milioni in Italia tra 20 anni. Ora vediamo la rivolta dei nuovi schiavi. In futuro la rivolta degli italiani.

La giungla non è solo quella

La giungla non è solo quella fatta di fitto verde e animali selvatici, in questi giorni ha assunto le forme del cemento, dell'asfalto, di volti e armi. La giungla ha portato in città la sua più feroce lotta intestina. La voce del ruscello silenzioso e pacifico ha voluto diventare quella di una cascata, un fruscio assordante. Una lotta giusta, una guerra urbana per la dignità, per il rispetto. E' come se la pelle scura per un momento si fosse schiarita, avesse preso luce per farsi notare. A costo di lacerarsi. Ma scommettiamo che già da domani, tra qualche giorno, il re della foresta ritornerà alla guida dei suoi sudditi e che questi gli obbediranno ancora perché sanno di non ricevere protezione da un'intervento esterno, da un "re buono" che venga da un'altra giungla a portare aiuto? E' un circolo vizioso: da bestia feroce nasce sempre un'entità simile, e agli animali "docili" non resta che sopravvivere. Un orrendo circolo, una catena che figlia di continuo nuovi anelli. Nella giungla vince chi ha il veleno più potente.

E' davvero vergognoso vedere

E' davvero vergognoso vedere come alcuni rappresentanti d'Italia, un paese che VORREBBE essere all'avanguardia in campo economico...sociale...etico e tanto altro, disegnano il nostro paese. Quando si parla di crescita, la crescita deve essere totale. Con queste guerre nate dalla paura, dall'odio per il diverso, dalla ricerca di egemonia, ci fanno notare quanto siamo piccoli ... piccoli e stupidi!

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