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ATTUALITA' - NON E' UN PAESE PER DONNE? / 5

L'altra metà del pennello

Da Vanessa Beecroft a Marina Abramovic, oggi le donne si sono fatte strada nel mondo dell’arte. Ma ancora alla fine dell’Ottocento non potevano neanche entrare in Accademia. Ricordiamo le anonime “suffragette” della pittura, sopravvissute a divieti, diffidenze, insulti


di Francesca Castellani

(Illustrazione di Elide Gramegna)


Mi hanno chiesto di parlare di donne e arte, ma non parlerò delle donne artiste: delle Zaha Hadid, delle Vanessa Beecroft, delle Sophie Calle, delle Marina Abramovic. Certamente a fatica e sgomitando in un mondo ancora maschilissimo, certamente concedendo molto (compresi i lugubri rituali di ossa, così di moda in questo lugubre presente), sono comunque quelle che ce l’hanno fatta, o meglio: hanno potuto farcela.
 
Non parlerò nemmeno delle “zie”: anni ’50-60, quando una Carla Accardi si faceva fotografare in borghesissimo golfino twin-set e cotonatura di capelli regolamentare, per disinnescare la sua scelta per l’informale. Né tantomeno parlerò delle schiere di mogli/amanti che le hanno precedute, le Frida Kahlo, Leonora Carrington o Gabriele Muenther, immancabilmente vampirizzate dalle debordanti personalità dei maschi dominanti di turno (al secolo: Diego Rivera, il perfido Max Ernst, l’ingrato Kandinskij). E già che ci siamo con le mogli, non darò spazio nemmeno alla taciturna Sophie Arp, o a Sonia Delaunay, che disegnava vestiti invece delle Tour Eiffel cubiste di suo marito; e neppure ad Anni Albers, che con altre donne del Bauhaus tesseva tappeti mentre quelli facevano sedie e lampadine (ma quanti su e giù di telaio, in questi anni Venti! Da noi, Bice Lazzari).
Per non parlare (e non lo farò) della grande Eileen Gray, che – pare – disegnò a quattro mani la celebre chaise longue di Le Corbusier: appunto.
 
Niente da fare, non parlerò di loro. Amiche complici amanti ma pur sempre libere, nel bene e nel male, di accedere al mondo dell’arte. Vi racconterò invece del mondo sommerso delle tante che hanno aperto la strada, in qualche modo le “suffragette” della pittura, nel secolo borghese e quindi perbenista per eccellenza (non a caso somiglia al nostro): l’Ottocento. Un secolo che si chiude con il terrore della femme fatale e che trova epigrafe, in un distillato di saggezza, nel celebre detto di Pio X, papa e santo: “Che la piasa, che la tasa, che la staga in casa” (purché piaccia, stia zitta e se ne stia in casa).
 
Immagine1.JPGCiak, si gira: il nostro set è Parigi, 1874 circa. Sulla scena dell’arte, siamo al centro del potere, gestito con pugno di ferro da un sapientissimo apparato statale che ha in mano l’accademia di belle arti, i musei e le esposizioni annuali d’arte: in altre parole, l’intero sistema, cui naturalmente ruota intorno il mondo del mercato. Bene, dove credete che si collochino le donne in questo formidabile ingranaggio? Di certo non al di qua, e credete, nemmeno un gran che al di là del pennello… Veneri, ninfe o modelle più o meno vestite si affacciano dalle tele dei quadri e dai marmi lisciati, pronte a offrirsi agli occhi dei Messieurs, mentre le signore del pubblico (ebbene sì, è così) davanti a questi quadri volgono opportunamente le spalle, a scansare un’offesa al pudore (vedi stampa qui sopra). Quando espongono gli impressionisti (è appunto il 1874), pensate che un critico sconsiglia di portare mogli o fidanzate alla mostra: potrebbero sempre svenire, povere creature.
 
Fino al 1890 le donne non possono entrare in Accademia e studiare pittura o scultura, come i loro colleghi: in altre parole, il primo passo necessario per assicurarsi una carriera artistica – un diploma all’Ecole des Beaux-Arts – a loro è semplicemente negato. Modelle nude da ritrarre in uno studio privato, magari a fianco di colleghi maschi, neanche a parlarne; figuriamoci modelli virili, come vuole la pratica accademica (vedi stampa sotto). Dunque, porte chiuse anche nei migliori atelier privati, quelli che garantiscono un posto nell’empireo artistico. Che spazio resta alle donne, se vogliono diventare artiste? Dove imparare il mestiere? Non resta che il museo, quello sì: copiare, copiare, copiare, naturalmente opere d’arte convenienti al gentil sesso, quali madonne, ritratti, nature morte etc. Veneri e ninfe sono altamente sconsigliate, e del resto un dipinto decisamente accademico di tal Jules Scalbert ci mostra con chiarezza i rischi che si corrono a infrangere le regole: una ragazza al Louvre copia una fanciulla discinta di Greuze (XVIII secolo, secolo libertino), ma paga pegno ricevendo le attenzioni del fannullone di turno.
 
Immagine3.JPGNiente nudi, niente atelier, niente grandi dipinti d’ambizione: alle donne restano le copie, la pittura di fiori, se proprio son brave i ritratti. In alternativa: mucche e contadinelle al pascolo, genere prediletto di Rosa Bonheur, sola e unica donna a ricevere un’onorificenza, la Légion d’honneur, nel 1865. Non è facile davvero farsi notare nelle affollatissime sale della mostra annuale, il celebre Salon: il luogo, come scrisse un critico, dove si vince o si muore. A leggere i dati di archivio ci si resta male. Una statistica del 1869 ci racconta che le donne al Salon sono solo il 12% e solo 3 di loro sono “hors concours”, hanno cioè il diritto di saltare il verdetto della giuria di ammissione: i maschi hors concours sono 170… Le donne non possono far parte della giuria, ma non possono nemmeno eleggerla, impossibile dunque cambiare le regole. Quando una signorina, tal Nélie Jacquemart, nel 1872, osa protestare perché non vogliono ammettere un suo ritratto di Thiers – il Presidente della repubblica: avanguardia pura – i giornali si scatenano, trattandola da pericolosa cospiratrice. Già, la critica: anche lei è al maschile, e tranne i pochi che vedono più in là (poeti, sognatori: Mallarmé, Strindberg) non è che si mostri tanto più gentile quando Berthe Morisot osa esporre con gli impressionisti da Nadar: “cinque o sei alienati, tra cui una donna…”.
 
Nelle vignette umoristiche la donna artista, in genere, ha sempre le stesse caratteristiche: è brutta, è sporca, veste abiti maschili, quindi è pericolosa. Di lì a tacciarla da donna di malaffare (toccherà sempre alle “impressioniste”) il passo è breve. Del resto è il secolo di Darwin e della silifide, e le donne, considerate più indietro dell’uomo nella scala evolutiva, fanno paura.
Onore al merito dunque, a queste tenaci sognatrici e lottatrici della prima ora. Di poche tra loro conosciamo i nomi: Berthe Morisot, Mary Cassat, Eva Gonzàles, Susanne Valadon, Camille Claudel. Le dita di una mano. Delle altre, anonime o quasi, non conosceremo mai nemmeno le opere, perse nell’oscurità delle occasioni negate. Eppure, è grazie a loro se oggi qualcuna (ogni tanto) vince il primo premio alla Biennale. Buon 8 marzo!


Tags: 8 marzo, accademia di belle arti, Anni Albers, August Strindberg, Bauhaus, Berthe Morisot, Bice Lazzari, Biennale, Camille Claudel, Carla Accardi, chaise longue, Diego Rivera, donne, donne artiste, Eileen Gray, Eva Gonzàles, Francesca Castellani, Frida Kahlo, Gabriele Muenther, impressionisti, Jean-Baptiste Greuze, Jules Scalbert, Le Corbusier, Leonora Carrington, Marina Abramovic, Mary Cassat, Max Ernst, parigi, Pio X, Rosa Bonheur, salon, Sonia Delaunay, Sophie Arp, Sophie Calle, Stephane Mallarmé, suffragette, Susanne Valadon, Vanessa Beecroft, Vasilij Kandinski, zaha hadid,
11 Marzo 2010


giudizio:



7.671312
Media: 7.7 (38 voti)

Commenti

bello, chiaro, divertente...

9

bello, chiaro, divertente... l'ho girato a una studentessa che fa una tesina sulle donne artiste.....Utile. grazie

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