• Seguici su:
ATTUALITA'

Ragazzi, fuggite ma non subito

Andare via dall'Italia? Per le giovani generazioni è l'unica soluzione. Il solo dubbio che resta è se emigrare appena possibile o farsi prima le ossa in condizioni estreme


di Roberto Alajmo


Ogni padre dovrebbe ritagliare e conservare la lettera al figlio scritta da Pier Luigi Celli e pubblicata su Repubblica di ieri. Conservarla per tirarla fuori a compimento della maggiore età del proprio figlio, per poi consegnargliela e abbassare lo sguardo. È l’ammissione di fallimento di un’intera generazione, tanto più autorevole in quanto firmata da una persona che qualche potere in Italia ha detenuto, negli ultimi venti anni.
La prescrizione di Eduardo De Filippo ai giovani napoletani (“fujtevenne!”) viene qui estesa a tutto il territorio nazionale e motivata approfonditamente. Abbiamo fallito, mettetevi in salvo, vi proteggo le spalle: è questa l’unica desolante promessa che i padri italiani possono fare dopo che ogni meritocrazia è stata calpestata. Dopo che quella che già era la prevalenza del cretino – e dell’ignorante, e dell’arrogante – è diventata una dittatura conclamata.
 
Assieme alla Linea della Palma, di cui parlava Sciascia, è avanzata anche la linea ideale della migrazione intellettuale, quella a cui accennava Tomasi di Lampedusa per bocca del Principe di Salina: bisogna che i giovani partano presto, prima che la crosta sia formata.
Io, sommessamente, mi permetto di dissentire: meglio aspettare che i ragazzi abbiano compiuto la maggiore età, e proprio perché in questo modo una crosta si è già formata. Dopo essere cresciuti in Italia, dopo aver vissuto sulla propria pelle quel che già nelle scuole è una cocente esperienza, i giovani sono in grado di partire con uno spirito già temprato dalle avversità. L’adolescenza vissuta nelle condizioni in cui la si vive nel nostro paese equivale, in ambito sportivo, a una preparazione atletica effettuata in altura, alle condizioni estreme.
Poi, in qualsiasi altro posto, sarà tutta discesa.


Tags: cervelli in fuga, estero, italia, lavoro, meritocrazia, pier luigi celli, Roberto Alajmo,
01 Dicembre 2009

Oggetto recensito:

La lettera di Pier Luigi Celli al figlio

giudizio:



8.01
Media: 8 (1 vote)

Commenti

Anch'io non me ne volevo

Anch'io non me ne volevo andare per pigrizia, irrazionalita' (paura?), sentimentalismo, ma alla fine la mia ambizione e/o la mia frustrazione hanno prevalso. Perche' in Italia mi hanno proposto un dottorato e poi me l'hanno soffiato da sotto il naso con un concorso fasullo!??!!? Perche' qui dopo un colloquio nel giro di una settimana mi hanno assunta pagandomi il doppio?!?!? Il punto e' che quando scopri e lavori in mezzo a una certa serieta' e professionalita', e' poi dura rinunciarci e tornare indietro. E qui, come direbbe Severgnini, puoi utilizzare la tua parte piu' italiana, quella creativa, quella furbetta, quella arraffona, quella conoscitiva (e la cultura generale che abbiamo noi italiani, in pochi l'hanno, lo sperimento ogni giorno) in un contesto piu' sano e professionale. Dico "piu' ", non totalmente. Senza parlare della quantita' di fondi investiti nella ricerca... Ma a me... chi lo fa fare di tornare!?!?!!?

PS: molto bene che le buone notizie vengano dalla bioingegneria!!! ;-)

Che i figli non siano più in

Che i figli non siano più in grado di lottare per cambiare la pessima realtà ereditata dai genitori è un dato estremamente preoccupante. Ma ancor più grave è l'impotenza dei responsabili di quei 'nodi che vengono al pettine'. Ce lo hanno insegnato loro, i padri e le madri, che gli errori vanno riconosciuti. Ma vanno anche corretti, almeno ci si prova. Per una questione di responsabilità. Mentre i figli attendono di raggiungere la maggiore età (cioè il momento giusto per fuggire), voi cercate invece di non fuggire le vostre responsabilità, genitori. A educare e temprare i figli ci pensa la società attuale, in effetti. Allora fate almeno finta di provare a correggere qualcuno dei vostri sbagli. Per dimostrare che la reazione può prendere il posto della delusione. Sarebbe un insegnamento utilissimo (per chiunque poi parta, oppure resti).

E' vero, l'Italia è diventato

E' vero, l'Italia è diventato un posto dove è sempre più difficile restare. Ma solo chi resta può davvero cambiare le cose. Rimboccandosi le maniche, dicendo un po' meno "sì" e smettendo con la pratica, sin troppo diffusa, del lamento.

Invia nuovo commento

Il contenuto di questo campo è privato e non verrà mostrato pubblicamente.
 
CAPTCHA
Questa domanda serve a verificare che il form non venga inviato da procedure automatizzate
Image CAPTCHA
Enter the characters (without spaces) shown in the image.