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FILM

L'infedele Anna Karenina

Joe Wright, regista avvezzo a grandi pellicole in costume, tenta la carta pericolosa del grande classico. Il capolavoro di Tolstoj rimesso in scena con Keira Knightley nei panni dell'eroina: si gioca tutto sulla forza iconica dei personaggi, in spregio alla verosimiglianza filologica. Eppure funziona...


di Marinella Doriguzzi Bozzo

 


L'affascinante Keira Knightley s'infila una boccettina di profumo Chanel nel reggiseno che non porta per mancanza di appigli e fugge su una rombante moto mollando a bocca asciutta quello scipito burattino di Vronsky: gli amori fatali si possono evitare, invece ce li cantiamo e ce li suoniamo, proiettando su ignari e talora improbabili oggetti gran parte dei nostri desideri consci e inconsci.
 
Vendicata la poveretta una volta per tutte con un'indebita crasi fra fiction del passato e pubblicità del presente, ci apprestiamo guardinghi alla visione di un mostro della classicità pensando che, mal che vada, ci si potrà consolare gli occhi con le sontuosità dell'epoca.
Invece, sorpresa straordinaria, il regista Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio, Espiazione) insieme allo sceneggiatore Tom Stoppard (Shakespeare in love) pur adusi agli adattamenti dei classici, spiazzano lo spettatore con una geniale rilettura di Tolstoj che, negli innumerevoli adattamenti filmici e televisivi di Anna Karenina, ha dovuto subire a sua insaputa una concentrazione del romanzo intorno al triangolo amoroso Anna-Karenin-Vronsk, sulla base del binomio romantico Amore e Morte.
 
keira_knightley-52854233.jpgViceversa Tolstoj era sì un inarrivabile realista psicologico, ma anche un uomo ed uno scrittore fortemente portato all'ideologia, tanto che Anna Karenina, pubblicato per la prima volta a puntate nel 1877, consta di otto parti, ripromettendosi altresì di costituire una sorta di trattato sulle diverse tipologie di sesso e affettività.
Tenendo presente questo aspetto trascurato dalla cosiddetta modernità, i due coraggiosi mettono quindi in scena un eccezionale exemplum letterario e visivo che affonda i suoi precordi nelle suddivisioni lignee e pittoriche delle pale d'altare e nella enfatizzazione delle grandi macchine teatrali, facendo dell'amore un sorvegliato sociale che trascorre dai toni dell'operetta a quelli del melodramma, mentre i meravigliosi involucri scenografici si sgranano uno dietro l'altro come bambole russe.
 
I protagonisti al contorno, legati da varie prossimità di parentela, assumono dunque quasi la stessa importanza della coppia che rappresenta la trasgressione dell'amour passion e la incorniciano all'interno di altri schemi tesi a illustrare di volta in volta il sentimento giovane innamorato di se stesso, quello coniugale virtuoso, quello infedele ma assolto dai costumi fino a quello tragico e osteggiato dalla società, che tollera l'infrazione delle leggi ma non quella delle sue regole implicite.
   
Gli attori sono tutti volutamente "inadatti", nel senso che rappresentano geneticamente

 dei modelli così modernamente lontani dall'epoca da assumere i connotati delle "maschere di caratteri", in perfetta sintonia con l'enfasi iconica della rappresentazione. 
Si pensi in questo senso proprio a Keira Knightley, musa del regista, che si cala in Anna con la stessa improbabilità fisica con cui Audrey Hepburn incarnava a suo tempo Natasha nel Guerra e pace di King Vidor (1955), mentre nel romanzo era una tornita bruna con un sospetto di testosterone in più, ad indicare un certo temperamento, diluito lungo la successiva maturazione in setosi baffi di placida e un po' ottusa matronalità.
 
Anche Audrey allora, come Keira oggi, prestava quindi una confezione storicamente inadeguata ad una giovinezza paradigmatica, in omaggio agli imperativi hollywoodiani attenti allo star system, ma filologicamente ingenui;

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 mentre la scelta degli attori qui è consapevole e funzionale alle esigenze della chiave rappresentativa adottata, tanto che la virilità bruna di Vronsky svapora deliberatamente nel biondo stopposo da primo attor giovane della compagnia, per non parlare dell'invecchiamento volutamente artificioso di Jude Law.
 
Eppure si tratta di un'innaturalezza di grande pregnanza e di assoluta suggestione, in cui tutto è calcolato come in un teorema musicale: dalla chirurgia dei dialoghi alla ieraticità dei gesti, che si animano o si immobilizzano all'interno delle stupefacenti scenografie e coreografie, vuoi mimando un moto dell'animo, vuoi cucendo tra di loro i vari episodi all'interno di una costruzione babelica a più piani, che ogni tanto si apre miracolosamente su accattivanti esterni naturali.
   
L'emozione del cuore talvolta si congela perché il segreto è nel punto di vista interiore e spaziale, ma quella dell'intelligenza e della vista escono esaltate da uno spettacolo che è un miracolo di significanza e di inventiva estetica, in perfetto equilibrio tra l'astrazione e la carnalità, l'originalità e il rispetto delle fonti. L'equipe cinematografica è pluricandidata solo ai prossimi Oscar tecnici, mentre si tratta di uno dei pochi classici felicemente e unitariamente reinventati, pur nella più assoluta fedeltà. Magari un po' protratto, perché quest'anno il lungo si porta comunque anche nei film non in costume, ma suscettibile di più rivisitazioni, come una dettagliatissima e ispirata installazione artistica.


Tags: Anna Karenina, Joe Wright, Jude Law, Keira Knightley, Lev Tolstoj, Marinella Doriguzzi Bozzo, recensione,
22 Febbraio 2013

Oggetto recensito:

Anna Karenina di Joe Wright, Gran Bretagna 2012, 130 m

 

giudizio:



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