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LIBRI - SAGGISTICA

Calasso, autoelogio con stile

Capo dell'Adelphi da quarant'anni (e giovanissimo redattore fin dalla sua fondazione), con L'impronta dell'editore ne ripercorre la storia e la filosofia. Il racconto affascina e la scrittura ipnotizza, ma per fortuna evitando la retorica


di Stefano Nicosia


I libri scritti dagli editori sulle case editrici da loro fondate o dirette formano ormai un genere letterario codificato e ben pasciuto, nel quale questo libretto azzurrino deliziosamente Adelphi si infila alla perfezione, colmando giusto quello spazio che forse vi era rimasto sullo scaffale. Ecco, proprio lì, accanto, magari, a Tra le carte di un editore, di Cesare De Michelis, a Frammenti di memoria e Tutti i nostri mercoledì di Giulio Einaudi, a Memorie minime di Giulio Bollati, a Essere editore oggi della casa editrice :duepunti; o accanto alle variazioni sul tema, cioè i ragguagli della progenie editoriale: Per un umanesimo scientifico, di Giulia Boringhieri, o Senior Service di Carlo Feltrinelli, per dire. A seguire – se proprio avete ancora spazio nella vostra libreria – potrebbero trovarsi i libri scritti da altri protagonisti (a vario titolo) dell’editoria italiana: Ah, la vecchia bur, di Evaldo Violo, per trent’anni direttore della Biblioteca Universale, oppure le memorie dell’autista di Giulio Einaudi, Mimmo Fiorino (Alla guida dell’Einaudi), o l’ultimissimo Una stanza all’Einaudi, di Baranelli e Ciafaloni, ex redattori della casa editrice di Torino.
 
Una volta intuito di quanti centimetri si potrebbe imbarcare uno scaffale poco robusto sotto il peso di questo sterminato puzzle storico-editoriale, è naturalmente tempo per più serie considerazioni: questi libri parlano della nostra società, al di là delle storie personali in essi contenute. Non sono solo l’Einaudi o la Mondadori (o i loro fondatori) a scrivere la storia culturale italiana ma, sottraendoci ad una prospettiva che privilegia la grande scala, è anche una più ampia galassia di lavoratori e di altre case editrici, che nel complesso significano e fanno parte del tessuto culturale storico e contemporaneo.
 
Adelphi è senza dubbio tra queste, ma tentare la strada delle lodi – all’editore e al libro – in questo caso sembra a rischio eritema da retorica, e anche a rischio ridondanza. Perché, del resto, ci pensa Calasso stesso. L’impronta dell’editore è composto infatti da quattordici testi, tra i quali due inediti e numerosi «discorsi pubblici», che ripercorrono il mito fondativo della casa editrice milanese, nel quale l’autore stesso ha tanta parte. Sia per la loro destinazione originaria (articoli o conferenze), sia per un’indubbia qualità delle scrittura di Calasso, il mood di fondo del libretto è quello della conversazione colta e urbana; ipnotica a tratti, ché ti trovi ad un certo punto nel mezzo della spiegazione dell’architettura culturale e filosofica del catalogo Adelphi e quasi non te ne rendi conto.
 
Il viaggio dentro Adelphi sa sempre di iniziatico, ma bisogna ammettere che Calasso affascina e affabula con savoir faire d’altri tempi, aggiornando alchimie mitteleuropee (Kafka, Nietzsche, Potocki, Ernst Bernhard, Walser…) con dosi omeopatiche di Rgveda e insegnamenti orientali, squadernandoti un aleph al tempo stesso personale e trascendente che bisbiglia di corrispondenze tra i libri del catalogo, di «libri unici» (quelli degli esordi di Adelphi), di un modo di fare editoria che non esiste più e non esisterà mai più. Se questo sia compiuto da Calasso con umido ciglio o meno sta a voi giudicare: ma l’editore non scende nel triviale patetismo, e gliene siamo grati, di questi tempi. L’impronta dice anche di una «forma» editoriale, che vale la pena almeno scoprire – se già non la conoscete – e conservare su quello scaffale immaginario che tutti noi possediamo. Quello sì che vale la pena tenerlo spolverato e sempre con un posto libero.



Tags: adelphi, L’impronta dell’editore, recensione, Roberto Calasso, Stefano Nicosia,
12 Settembre 2013

Oggetto recensito:

Roberto Calasso, L’impronta dell’editore, Adelphi 2013, p. 164, 12 euro

L'autore: nato nel 1941 è presidente di Adelphi, in cui è entrato all’inizio degli anni Sessanta, ricoprendo anche le cariche di direttore editoriale e consigliere delegato. Con la casa editrice milanese ha pubblicato tutti i suoi libri, da L’impuro folle (1974) a L’ardore (2010)

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