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WEEKEND - LIBRI

Cronaca della letteratura italiana

Sui giornali il triste rito dei bilanci letterari di fine anno


di Giulio Ferroni

(Illustrazione di Daniela Tieni)


Siamo ossessionati dai bilanci e dalle classifiche: e se la cosa in generale ha ragioni storiche, sociali, comunicative, esistenziali, psicologiche da cui non si può sfuggire, in particolare per ciò che riguarda le classifiche e i bilanci sulla letteratura in corso, sarebbe davvero salutare farne a meno, scansarle con passo leggero.
Non ne può però fare a meno la stampa periodica, stimolata dal mercato editoriale: e la cosa diventa imprescindibile verso la fine dell’anno, quando il lettore delle pagine culturali, dopo aver attraversato le tante tristezze delle vicende nazionali e internazionali, è costretto a confrontarsi con la tristezza dei bilanci letterari, accompagnati da riflessioni e ipotesi sulle tendenze in atto. Anche a me è capitato talvolta di essere spinto a fare bilanci, a suggerire classifiche: pur sapendo quindi di avere anch’io la mia parte di colpa, non riesco però a non provare pena per il sempre più tardo e vuoto ripetersi di questi bilanci, per il loro prescindere da ogni percezione delle condizioni attuali del linguaggio e della letteratura, per la loro incapacità di tener conto del destino della letteratura stessa, delle ragioni che essa può ancora accampare nel confuso presente.
 
Nella stampa periodica sembrano dominare modelli e presupposti critici che non possono più essere all’altezza di ciò che il nostro paese e il mondo sono diventati e di ciò che in essi è diventata o può diventare la letteratura: c’è solo una disponibilità istituzionale che riduce la letteratura ad un modo di occupazione di spazio, e ne definisce valori e caratteri in base al posto che agli autori e alle opere si può attribuire in funzione di un progressivo sviluppo della comunicazione, dello scambio con una possibile comunità di lettori.
Se si dice che la critica è agonizzante o morta, ciò accade perché quel po’ di critica che resta sembra incapace, succube com’è alle esigenze e alle proposte del mercato, di confrontarsi con le fratture che si sono date nell’orizzonte pubblico, nei modelli culturali, nei rapporti interumani: fratture che chiedono nuovi linguaggi critici, capaci di far conflagrare il lascito della grande letteratura del passato con le lacerazioni del presente e di aprirsi verso una letteratura autenticamente critica, carica di responsabilità e di destino.

Aspettando qualcuno che ci faccia capire fino in fondo il senso di questa condizione e definisca possibilità critiche davvero all’altezza del presente, la fine d’anno ci propina in modo sempre più fitto e sempre più stancamente evanescente la tristezza dei cataloghi e dei bilanci.

Così negli ultimi giorni i due maggiori quotidiani nazionali ci hanno proposto delle loro rassegne classificatorie, affidate a due critici in diversa misura eminenti de cuyo nombre no quiero acordarme. Così il bilancio del Corriere della sera (11 dicembre) si presenta tutto “in negativo”, con molte esclusioni e condanne (autori “bocciati”, come si dice con uno dei verbi giornalistici più inflazionati), determinate dall’esperienza e dalle predilezioni di un critico che, comunque, i libri li legge davvero: su molte di queste bocciature si può anche concordare (alcune sembrano però eccessive, sembrano venir fuori quasi per partito preso), e si possono sottoscrivere anche alcuni pochi giudizi positivi che vengono dati. Si resta però assolutamente frastornati dall’incoronazione (esibita del resto immediatamente nel titolo dell’articolo) di Erri De Luca come “lo scrittore del decennio”, definito come “il solo vero scrittore di rango che per ora ci abbia dato il Duemila“. Non capisco, non riesco a vedere come l’esperienza di questo scrittore, per me un po’ troppo retoricamente atteggiato, possa considerarsi così cruciale.

Alla severità del Corriere, contraddetta però da questa impensata ipervalutazione, fa da riscontro l’elencazione enciclopedica e seriale dell’articolo di Repubblica (15 dicembre), che dopo essersi appoggiato alla vacua formula del New Italian Epic, esibisce tutta una serie di nomi di scrittori “giovani” (con preferenza assoluta per quelli pubblicati da Einaudi) e scopre poi trionfalmente che la nuova letteratura starebbe tornando alla “provincia“, senza nominare quasi nessuna delle esperienze davvero interessanti degli ultimi anni (salvo il prevedibile richiamo a Saviano) e prendendo sul serio anche alcune prove del tutto evanescenti, ma consacrate dal mercato.

Ma insomma, in questi cataloghi il critico, quale esso sia, finisce comunque per fare la parte di un dissodatore, che si mette a vangare nel campo di carta propinato dall’industria editoriale, leggendo o non leggendo i libri, ma usandoli come etichette, segni e bandierine per le proprie evoluzioni. È un campo asfittico, addormentato, rappreso: nello sfacelo del nostro paese, dei rapporti sociali, dei modelli culturali, c’è bisogno di ben altro, c’è bisogno di aria fresca, di sentire pulsare qualcosa di vivo, il senso del nostro destino.


Tags: bilanci, classifiche, corriere della sera, critica, erri de luca, Giulio Ferroni, letteratura italiana, repubblica, saviano, storia, weekend,
19 Dicembre 2009

Oggetto recensito:

I bilanci letterari di fine anno sui giornali

 

giudizio:



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