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LIBRI - NARRATIVA

Fausto Vitaliano, il picaresco ai tempi di Tangentopoli

Tra l'inizio di Mani Pulite e l'avvento del berlusconismo è ambientato Era solo una promessa, libro che è molti libri: d'avventura, noir, di formazione, onirico. L'autore è un cinquantenne d'esperienza, ma al primo romanzo: un ottimo esordio


di Stefano Nicosia


copertina_10.jpgLe coincidenze ci sono tutte, per gli appassionati di numerologia. Oggi siamo a vent’anni dal periodo di Mani pulite, durante il quale si svolge il romanzo; Fausto Vitaliano era all’epoca trentenne, come il protagonista Alessandro, narratore della storia. Le date iniziali e finali su questa sorta di diario personale, e al tempo stesso diario pubblico italiano, sono la fine del 1991 e l’inizio del 1994, e non lasciano scampo. I giorni di quegli anni, a sgranarli col dito su un ideale calendario, hanno tutti, uno dopo l’altro, la consistenza dell’emergenza: le inchieste milanesi, i governi, le stragi, la crisi dei partiti e quella dell’economia, i prelievi forzosi sul conto corrente della democrazia del Paese.
 
Prima e dopo le emergenze, però, c’è sempre il silenzio, spesso febbricitante, di assestamento. Il romanzo entra in quello di una storia di provincia, con l’apparente casualità che ha la vita di un trentenne senza legami né progetti. Alessandro con la realtà ci si scontra, più che altro: quando i suoi genitori muoiono in un incidente ferroviario, poi quando finisce avventuratamente in un anonimo paese del milanese, infine quando incontra la famiglia Neyroz, che porrà termine definitivamente al meccanismo cui il giovane si è sempre abbandonato.
 
Era solo una promessa è un romanzo picaresco, confessiamolo subito senza inutili pudori, il cui protagonista è un orfano, inevitabilmente fuori posto ovunque si trovi, che si muove trascinato – più che spinto – dall’istinto. Di questo, di una specie di fiuto da apprendista investigatore, è tutt’altro che sprovvisto, ed è la dote che lo fa avvicinare alla storia che gli cambierà la vita. In una provincia a tratti surreale, Alessandro si muove – come imprigionato – lungo una spirale, intorno ad un centro, il nucleo della storia. Il punto che sfugge alla traiettoria è l’epilogo della vicenda, lo scioglimento dei misteri insomma, per chi fosse affezionato agli elementi old fashioned del genere. Arriverà, sì, alla fine del libro, ma non prima che tante tessere del mosaico trovino il loro giusto posto.
 
Perché il centro della storia è anche, in fondo, lo stesso Alessandro. Per questo motivo il picaresco diventa Bildungsroman, romanzo di formazione, ritrovamento di sé, ancorché senza la consapevolezza di una vera ricerca. Fausto Vitaliano costruisce un romanzo che va cambiando la propria forma ad ogni giro della spirale, ma anziché cancellare le proprie sembianze, queste si vanno sommando tra loro. Il picaresco disincantato e ironico si somma al noir nostrano, aggiunge movimento alla narrazione in prima persona, rende insieme impellente e lontana la cronaca di quei primi anni Novanta. È un’attitudine che è stata declinata nel tempo esemplarmente – per dirne due – da Gianni Celati e Stefano Benni.
 
È insomma un libro ricco di volute contrapposizioni, tra lo sguardo trasognato e la crudeltà efferata, tra il surreale e la cronaca nera, tra il passato da digerire e il presente da iniziare ad assaggiare. Anche addentando aria, a volte, come accade ad Alessandro. La Storia, quella che di solito ha l’iniziale maiuscola, di grande non ha in realtà nulla, è un fallimento. Le aspettative di palingenesi di una società corrotta, coincidenti con le speranze del protagonista, si sciolgono, ma la storia di Alessandro fa in tempo a separarsi da quella di Milano e dell’Italia degli anni ’90, per acquistare la propria direzione.
 
Il primo romanzo di Vitaliano ha a tratti l’andatura dinoccolata di una scrittura d’esordio (stavamo per dire gggiovane, ma che categorie abbiamo introiettato di questi tempi?), ma lascia anche la sensazione di ingranaggio non perfetto (non ancòra), che necessita un po’ d’olio qui, una limatina là. Si avverte soprattutto nel linguaggio del narratore, volutamente adatto alla propria età, nello stile, nell’apprezzabile tic dell’autocommento a se stesso, che tuttavia a volte inciampa in qualche banalità, dove di solito si stagliano invece frasi epigrammatiche, perfette. La conclusione di questo lungo racconto è, invece, perfino un’ottava al di sopra della melodia complessiva, in una Milano inaspettatamente allagata e onirica, con la qualità per restare nell’immaginario del lettore molto a lungo.
 
Confessiamo anche questo, da ultimo: abbiamo bisogno di questa visione distaccatamente partecipe, così come abbiamo bisogno dell’ironia di Vitaliano e dei libri ancora non scritti. Prodotto da borsa nera, ormai, visto che le bancarelle autorizzate ne sembrano sfornite, ahinoi.



Tags: Era solo una promessa, Fausto Vitaliano, Laurana, recensione, Stefano Nicosia,
01 Marzo 2012

Oggetto recensito:

Fausto Vitaliano, Era solo una promessa, Laurana 2012, p. 434, euro 18

L'autore: nato in Calabria nel 1962, è uno degli sceneggiatori di punta di Disney Italia. Scrive da molti anni storie per Topolino e altre testate del gruppo. Collabora con gli editori Feltrinelli e Rizzoli: ha curato, tra gli altri, volumi di Beppe Grillo e Michele Serra. Con quest’ultimo ha scritto il monologo teatrale Tutti i santi giorni. Ha pubblicato due saggi per Giunti-Motta Junior.

giudizio:



8.505
Media: 8.5 (2 voti)

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