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LIBRI

Joshua Ferris, un percorso obbligato

Il secondo romanzo dell'autore di E poi siamo arrivati alla fine racconta la storia di un uomo alle prese con una misteriosa malattia, che lo costringe a camminare contro la sua volontà


di Giovanni Zagni


Joshua Ferris, americano dell'Illinois, classe 1974, ha esordito nel 2007 con il pluripremiato E poi siamo arrivati alla fine, ambientato in un'azienda pubblicitaria e scritto per gran parte in prima persona plurale: la sua ironica leggerezza ricorda da vicino i migliori romanzi di Nick Hornby, ma già si intravede la capacità di misurarsi con temi come la malattia, la morte, il fallimento esistenziale. Con questi infatti vuole fare i conti Non conosco il tuo nome, secondo romanzo di Ferris. La storia è quella di Tim Farnsworth, avvocato in un grande studio legale di New York: il lavoro lo appaga, ha una figlia e una moglie che ama, una bella casa. La sua serenità è sconvolta da una misteriosa malattia, che lo costringe senza alcun preavviso – appena sveglio o nel bel mezzo di un'udienza – a iniziare a camminare, per decine di chilometri, privo del controllo sulle sue stesse gambe, e abbandonandolo stremato, ore dopo, negli angoli più sperduti della città. 
 
Ogni marcia forzata è una brusca rottura, un violento allontanamento. Prima di tutto dal Sogno Americano, che Tim è abituato a vedere realizzato nella sua carriera di avvocato di successo, e poi dalla moglie Jane, che combatte ogni giorno con la necessità di trovare un senso a un matrimonio sempre più schiavo del male del marito. Non conosco il tuo nome, infatti, è anche la storia di una famiglia, dei conflitti tra i genitori e la figlia Becka, e soprattutto una potente storia d'amore, in cui la dedizione e il sacrificio si alternano ad umanissimi momenti di cedimento, declinazione riuscita e mai banale dell'eterno tema delle contraddizioni del cuore. 
 
Il libro si sviluppa in quattro "movimenti", durante i quali la scrittura accompagna il lento declino di Tim: all'inizio con una narrazione piana, come lo è ancora la mente di Tim determinato a combattere la sua malattia; poi via via più spezzata e contorta, man mano che il protagonista sente di perdere la sua battaglia e la devastazione fisica si accompagna al dissesto psicologico. Nel primo romanzo, Ferris aveva già dato prova di grandi abilità di scrittore, con ritratti dei personaggi rapidi e precisi, grande capacità di tenere alta la tensione narrativa e sottile, frequente ironia. Non conosco il tuo nome conferma la sua bravura e ne aggiunge altre prove. Abbandonate le rivalità di corridoio e i pettegolezzi della grande agenzia pubblicitaria, il dramma di Tim concede meno spazio ai sorrisi e più invece alla capacità visiva e mimetica dello scrittore: esempio tra i più riusciti, la scena che conclude la terza parte, quando, seduto al tavolo di un caffè, Tim (e con lui il lettore) crede per un attimo ad una illusoria guarigione. 
 
Tim finisce a vagare per l'America, arrendendosi a una forza che lo domina dall'interno, in un viaggio attraverso Stati Uniti spesso deserti, selvaggi, ostili. Le bellissime sequenze whitmaniane che li descrivono, poco prima della conclusione, conducono ad un finale ampiamente preannunciato: l'atteso compimento di un destino, il punto d'arrivo di una lenta discesa verso il nulla che solleva molte domande, ma non si preoccupa di dare risposte.



Tags: amore, e poi siamo arrivati alla fine, famiglia, Giovanni Zagni, illinois, joshua ferris, malattia, neri pozza, non conosco il tuo nome, sogno americano, stati uniti,
21 Aprile 2010

Oggetto recensito:

Joshua Ferris, Non conosco il tuo nome, Neri Pozza 2010, p. 351, euro 16.50

giudizio:



6.579999
Media: 6.6 (9 voti)

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