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LIBRI - SAGGISTICA

Quel babbo mammoletta

I giovani italiani sono mammoni, si sa, e non combinano nulla fino ai trent'anni. Colpa dei genitori, e non solo delle mamme. Antonio Polito, ex direttore del Riformista e ora editorialista del Corriere, scrive Contro i papà per denunciare il fenomeno del padre ridotto a babysitter. Ma è davvero questa l'origine di tutti i problemi?


di Giuseppe De Marco

 


“Oddio e adesso cos’altro avremo combinato?”, viene subito da pensare leggendo il titolo dell’ultimo libro di Antonio Polito. Perché, diciamolo, non è che sia proprio un momento d’oro per i maschietti dei giorni nostri. Se si escludono i paesi arabi, il sollevamento pesi e il Parlamento italiano, il sesso maschile ha smesso da un bel po’ di esercitare il proprio dominio incontrastato su chicchessia.
 
E dunque, verrebbe da dire, non ci toccate anche il ruolo di padri! Ché se fragili e goffi siamo almeno lasciatecelo fare con i nostri figli. Richiesta vana. Antonio Polito, già direttore de Il Riformista e attualmente editorialista del Corsera, si è preso la briga ("e di certo il gusto", avrebbe detto De Andrè) di fustigarci anche nell’ultimo bastione che credevamo protetto della nostra già piuttosto fiaccata mascolinità.
 
Pareva una riconquista della tarda post-modernità, quella di un ritrovato attaccamento dei padri ad una prole che la tradizione vuole perennemente assegnata di diritto alle mamme-chioccia. Dai movimenti dei padri separati ai fulgidi esempi (fuori confine) di fior di ministri e uomini di Stato alle prese con il sacrosanto congedo parentale per seguire più da vicino la figliolanza. Sembrava, sembra, forse addirittura è, uno di quei movimenti di ritorno in meravigliosa controtendenza rispetto ai deliri della frenetica modernità. Tanto che in rete blog e siti dedicati alle amorevoli cure paterne hanno smesso da tempo di essere una novità.
papà.jpgE invece no. Polito (e non da solo, ci mancherebbe) ci viene a dire che stiamo sbagliando tutto. E che a ben pensare forse facevano meglio i nostri padri, e i padri dei nostri padri, ad insegnarci la vita a suon di legnate e maschia indifferenza.
 
Perché il problema, ci viene detto, è che a furia di stare dietro a biberon e pannolini ci siamo rammolliti anche noi (le donne, e le mamme, totalmente assenti dal ragionamento dell’autore, viene da pensare siano già rammollite per definizione). Servono dati? Eccoli. I soliti, per la verità. Che ci ricordano come il 90% dei nostri figlioli tra i 18 e i 24 vive ancora con i genitori e il 50% continua a stare da mammà fino a 34 anni (inutile il confronto con il resto d’Europa). E del resto perché mai dovrebbero andarsene se noi stessi non facciamo altro che incitarli a restarsene al sicuro nell’orticello di casa? Scuola sotto casa, Università sotto casa, fidanzati direttamente dentro casa e così via.
 
Siamo diventati, ci rimprovera Polito, “sindacalisti dei nostri figli: sempre pronti a batterci affinché venga loro spianata la strada verso il nulla”. E con la scusa di proteggerli dai mali di una società dispotica e ingiusta, in realtà li stiamo viziando oltre misura e abituando all’idea che quel poco che avranno nella vita non dipenderà dai risultati dei loro sforzi ma da quanto noi genitori saremo stati in grado di fare per loro.
 
C’è bisogno di ricordare che altrove fanno esattamente il contrario? In America, per esempio. Per non parlare dell’Asia, dove il modello educativo sembra ispirarsi direttamente a quello persiano. Ed eccole, le tigri del domani, che già oggi sono pronte a divorare i nostri fragili marmocchi in un sol boccone. E non si cerchino scuse nel dire che il nostro modello culturale è diverso, che la nostra società è ispirata ad altri principi, altri valori (e disvalori). Perché di scuse Polito non vuol sentir parlare. La sua è un’analisi severa e impietosa e fa lo stesso effetto di qualcuno che ti costringe a guardarti allo specchio dopo una terribile notte insonne: guardati come ti sei ridotto, pusillanime.
 
Convinto magari che basti aiutare i tuoi figli a fare i compiti per assolvere i tuoi doveri di padre-genitore (le madri, si suppone, sempre in cucina). Poi certo Polito parla di nostri errori ma in realtà intende più che altro gli errori degli altri, ché lui per i suoi figli ha già deciso di puntare sulle carte giuste, tipo la iper-selettiva scuola privata londinese. Magari anche perché può permettersi il lusso di scelte che ad altri sono quasi sempre precluse.
 
Tutto vero, per carità. Ovvio, perfino. Salvo che poi un dubbio viene lo stesso. Ma siamo davvero sicuri che per riuscire nella vita si debba necessariamente sbattere il grugno contro la solida fortezza di un padre-padrone? Sfidarne tremebondi l’autorità per poterne poi uscire, in un modo o nell’altro vincitori; anzi di più: uomini? E se invece, di tutte le mancanze di questo benedetto paese, quella di un rapporto meno conflittuale, più solidale, finanche sfacciatamente amicale con i propri figli, fosse magari quella meno grave?
E se addirittura i paparini moderni, finalmente dismessi i panni autorevoli troppo spesso diventati autoritari, fossero addirittura una risorsa per i nostri figli (che di problemi, ahiloro, ne hanno e ne avranno in abbondanti quantità anche senza dover aggiungere il consueto scontro generazionale)?
 
Domande maliziose e tendenziose. Forse anche smaccatamente autoassolutorie. Ma si sa come siamo fatti, noi papà.



Tags: Antonio Polito, contro i papà, Giuseppe De Marco, recensione, rizzoli,
07 Febbraio 2013

Oggetto recensito:

Antonio Polito, Contro i papà, Rizzoli 2013, p 120, 14 euro

 

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