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TEATRO

Il deserto non muore e non cambia

Tratto da un testo di Nadine Gordimer, L'aggancio racconta la storia d'amore tra una ricca occidentale e un immigrato africano, riflettendo sull'imutabilità dell'essenza di ognuno


di Sergio Buttiglieri


L'aggancio, tratto dall'omonimo testo di Nadine Gordimer, aveva debuttato l'anno scorso a marzo al Teatro Ringhiera, un piccolo accogliente teatro della periferia sud di Milano in un contesto di architettura slavata da realismo socialista. Ricordo ancora come la sera della Prima la piazzetta antistante a questo atipico teatro fosse piacevolmente assediata da gruppetti multietnici di ragazzi, che concitatamente discutevano di possibili “strategie” serali sul territorio. 
 
I due unici attori della pièce sono una coppia fulminante che, grazie alla grande semplice struggente regia di Serena Sinigaglia (fondatrice di Atir, l'Associazione teatrale indipendente per la ricerca, giovane ma con una serie di interessanti reinterpretazioni di classici e non solo alle spalle), v’inchioderà sulla poltrona fino alla fine senza un attimo di noia; cosa, di questi tempi, alquanto rara a teatro.
Lui, Fausto Russo Alesi, sicuramente tra i più quotati giovani attori della nostra nuova scena teatrale, ci aveva folgorato per bravura in quel monologo strepitoso, Natura morta in un fosso, (premio Ubu 2002) ricavato da un testo di Fausto Paravidino, per poi proseguire a stupirci con le sue viscerali interpretazioni. Ricordiamo Il Grigio, sulla figura di Gaber (sempre con la regia della Sinigaglia), Il gabbiano di Cechov con la regia di Nekrosius, Il Silenzio dei Comunisti di Ronconi, fino al recentissimo monologo 20 Novembre di Lars Norén, di cui questa volta curava anche la regia, andato in scena a febbraio al Teatro Strelher di Milano.
Lei è Mariangela Granelli, (premio Anct 2007 come attrice emergente) formatasi alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, che con questo lavoro prende definitivamente il volo verso ulteriori successi nel buon teatro meno paludato. Alle spalle ha ottime interpretazioni con registi come Carmelo Rifici (un’altra Julie, fra l’altro, ma questa volta strindberghiana), Ronconi stesso (Fahrenheit 451), in scena assieme ad attrici del calibro di Elisabetta Pozzi. 
 
L’aggancio potrebbe ridursi a una storia d’amore tra Julie, una ricca e complicata ragazza di origine occidentale, e Abdu, un giovane immigrato africano, laureato ma ontologicamente di umile estrazione, incuneato negli interstizi metropolitani di una Johannesburg simile a tutte le metropoli che si nutrono di lavoro nero, di persone mimetizzate nell’ombra che sopravvivono facendo lavori che gli altri scelgono di non fare.
Ma forse lo spettacolo è molto altro. E’ l’impossibilità, se si giunge da storie molto distanti, di compenetrarsi veramente anche se innamorati. E’ la furiosa, irrazionale, impellente necessità di sopravvivere ai margini del nostro mondo occidentale, piuttosto che ritrovare un ruolo nel paese natìo. E’ la storia di due persone che si agganciano con una serie di delicati avvicinamenti, che la regista risolve molto bene tramite efficaci pseudo dissolvenze, occhieggianti i comix attorno a un tavolino.
Una scena minimale, ideata da Maria Spazzi, composta da bidoni vuoti di petrolio, vero liquido amniotico del nostro tempo, ma che contengono altro, ad esempio l’origine desertica di lui, che verrà esplicitata con un piccolo preciso segno teatrale degno delle migliori invenzioni alla Nekrosius, maestro nel raccontare emozioni con nulla in mano. 
 
L’aggancio, punteggiato da una emozionante colonna sonora curata da Alessandro Verazzi , ci conduce a riflettere sul perché due persone, pur avendo avuto una repentina profonda intesa, ad un certo punto non s’intendano più. Forse perché ciò che ci ha formato nell’infanzia, che ci ha lacerato, che ci ha scolpito, difficilmente verrà modificato dall’attrazione nella nostra maturità; al massimo scalzerà qualche frammento di noi stessi. L'essenza è destinata all’immutabilità, come quel deserto (il deserto non muore e non cambia: esiste e basta) che Julie, sorprendentemente, continuerà a voler vedere e vivere, a differenza di Abdu, che preferirà sopravvivere in un luogo altro, icona dell’occidente. 
Alesi recita con un viscerale trasporto che ci conduce ineluttabilmente verso un inaspettato epilogo. Granelli ci fa identificare con maestria nel suo personaggio insoddisfatto, frutto di una intricata frammentazione genitoriale, metafora calzante del nostro essere orfani di affetto. La regista mescola i dialoghi diretti con un racconto di sintesi che a turno i due attori dipanano, sospendendo i capitoli della loro complicata vicenda sentimentale. E’ d'altronde un procedimento che già utilizzava Flaubert, quando decantava le sensazioni confuse di Madame Bovary con una lucidità analitica che lei non poteva possedere.
 
Ma c’è una scena che vale tutto lo spettacolo: al cospetto delle insulse frasi senza sonoro dell’avvocato di famiglia di lei, i loro indifesi sguardi, all’unisono, perfettamente muti, con un’espressione che simbioticamente trascolora dall' immensa speranza adolescenziale alla profonda delusione della maturità, sono il perfetto simbolo della loro vita irrisolta.



Tags: fausto russo alesi, l'aggancio, mariangeli granelli, nadine gordimer, serena sinigaglia, Sergio Buttiglieri,
29 Marzo 2010

Oggetto recensito:

L'aggancio, tratto da Nadine Gordimer, regia di Serena Sinigaglia

Prossimamente: 30 e 31 marzo, Bergamo; 1 aprile, Magenta; 6 aprile, Voghera; 8 e 9 aprile, Piacenza; 11 aprile, Rubiera (Reggio Emilia)

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