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TEATRO

Motus, la videoarte dal vivo

E' un esperimento isolato, quello di When, un "unicum" nel percorso di un gruppo teatrale in continua sperimentazione. Il ritorno alla regia di Enrico Casagrande, insieme a Daniela Nicolò, mette insieme media digitali e arie d'opera rossiniana, con Silvia Calderoni a dare corpo al tutto. Suggestioni che avremmo ritrovato nel loro spettacolo successivo, Nella tempesta.


di Igor Vazzaz

 


Ha la rapidità d'un bozzetto, la plasticità flessuosa d'una performance, la rabbia agrodolce e intellettuale delle ultime realizzazioni questo When presentato da Motus, miniallestimento, studio espressivo in forme cangianti a seconda dello spazio cui si trova destinato. Era successo la passata estate a Dro, nella luce crepuscolare che lambiva le Alpi trentine, si è ripetuto poi adesso al Teatro Studio di Scandicci, tutt'altro contesto: l'urbanizzazione anonima, da teoria post-atomica, d'una Toscana che abdica a se stessa affastellando strade su strade, capannoni su capannoni. Riflessione problematica e aperta sul tema del controllo visivo, When costituisce il ritorno in scena di Enrico Casagrande che firma sia la regia, assieme a Daniela Nicolò, sia il concept originario, in cui ai due si somma il contributo dell'attrice e musa del gruppo Silvia Calderoni.
 
Al calar del buio in sala fa una certa sensazione intrasentire dalle casse d'un pc poggiato su un tavolo le prime note di La calunnia è un venticello, cavalcata rossiniana al cui inarrestabile crescendo corrispondono le movenze della silhouette danzante del regista e interprete. La chiave operistica è una scelta inedita per il gruppo, bordone costante per tutta la durata dell'allestimento (riconosciamo Casta Diva e, in chiusura, un ritorno al Barbiere). Lo schermo, in alto sul fondale, accoglie prima il gioco d'ombre tracciate dal corpo di Casagrande per poi farsi detonatore visivo, squarcio dello spazio: riflette il nitore accecante d'un display digitale, per un Nuovo Documento di Testo, messaggio (in schermo, non in bottiglia) con cui l'uomo si rivolge, senza voce, agli spettatori cui offre le spalle.
 

motus-when.jpgDi seguito, la scena s'apre all'esterno mediante le proiezione di immagini in diretta dal tetto del teatro: Silvia Calderoni è lì, calzoni attillati, esile top a scoprir le spalle, incurante del freddo d'un inverno mai così temperato. Il suo cuore è metronomo intimo, pulsazione protratta dello spettacolo. Non è speculazione patetica, ma effettiva realtà sonora: al petto le è stato applicato un microfono che rimanda in sala il suo beat cardiaco, ora convulso ora più disteso, nella con-fusione dei differenti piani audio. Corre, grida, s'interroga, piange, dà vita a sequenze in cui l'inusitata potenza della sua presenza fisica si sposa in modo sorprendente al tono quasi delicato della voce. Ed è notevole l'efficacia, in senso artaudiano, di questa atleta del cuore, ché se altri facessero quel che compie lei in scena, il rischio della banalità sarebbe men che dubbio, là dove lei riesce intensa, struggente, autentica.
 
Le immagini sfocate, slabbrate dai riflessi dei fari delle auto che ignare solcano il buio di via Donizetti, intessono una composita dialettica con l'oscurità in sala dove siede e risiede il regista. Si parlano. Si controllano a vicenda. Quanti sono gli occhi che “ci” spiano, si chiedono i due, inanellando, mediante giochi di cam collegate, citazioni più o meno evidenti, dubbi insinuati. L'imperfetta parcellizzazione di pixel rende il primo piano di Silvia ambigua icona di contemporaneo puntillismo, nel perenne e vorticoso inseguimento della sua figura da angelo post-punk, sino all'irruzione in sala. Un'appendice ginnica, complice il tapis roulant da fitness fai-da-te, e il dialogo anarcosentimentale dei due ora riuniti in scena, prima di uscire, fianco a fianco, sulla strada esterna. Resta Rossini di sottofondo, e i contorni di quei due che, di lontano, s'inchinano verso la camera, riscuotendo il plauso divertito e unanime del pubblico.
 
Suggestioni, idee, rapide associazioni per uno spettacolo che si nega in quanto tale e non per i quaranta minuti della durata, ma per la sua natura volutamente informale, esperimento in vitro per riflessioni che corroboreranno il prossimo allestimento “vero” del gruppo, quel Nella tempesta di rimando scespiriano che ha debuttato in maggio al FTA Festival Transameriques di Montreal.


Tags: daniela nicolò, Enrico Casagrande, Igor Vazzaz, Motus, recensione, Rossini, silvia calderoni,
18 Settembre 2013

Oggetto recensito:

When, di gruppo Motus, regia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

Visto a: Scandicci (Fi), Teatro Studio, 11 gennaio 2013
  
Prossimamente Motus: www.motusonline.com/it/calendario
 
Il dubbio (maligno): "Ma se durante le sequenze esterne una macchina li mette sotto?"

giudizio:



6.03
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