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FOTOGRAFIA

Basilico, l'ultimo scatto

Lo scorso 13 febbraio ci ha lasciati uno dei fotografi più interessanti d'Italia. Il suo stile "implacabile" nel ritrarre le città senza nulla concedere al pittoresco e la sua maestria nel bianco e nero, nel ricordo - personale e professionale - di chi l'ha conosciuto


di Cesare de Seta

 


L’ultima mostra di Gabriele Basilico è stata Bord de mer 1984-85 che sotto Natale fu riproposta dagli Incontri internazionali a Villa Pignatelli a Napoli: commessa della Mission Photographique de la Datar, progetto di ricerca, a cura di Bernard Latarjet, per documentare sistematicamente lo spazio geografico della Francia.
 
Basilico, nato a Milano nel 1944 e da poco scomparso, fu l’unico italiano invitato in una équipe internazionale. Gabriele aveva scarpinato, come amava dire, sulle coste atlantiche della Francia fotografando città, porti, paesaggi, distese di mare e ogni cosa aveva selezionato il suo reflex. Usava camere ingombranti e sofisticatissime e andava con un collaboratore per trasportare l’attrezzatura, per scegliere l’obiettivo idoneo, per cogliere quella luce, quell’inquadratura. Stava ore prima di scattare e spesso usava tempi di posa lunghissimi.
 
beirut.jpgLe sue foto sono implacabili, nel senso che nulla è concesso al colore pittoresco di una scena, ma solo focalizzato su quel che voleva si vedesse. Implacabile anche nelle fedeltà assoluta al bianco e nero. Era architetto e anche per questo motivo l’ho conosciuto assai giovane a Milano e ho seguito il suo lavoro passo passo. Gabriele era un uomo generoso e dolce, e i tratti di dolcezza della sua personalità è difficile coglierli nelle sue foto che, al contrario, sono secche come l’acciaio e modulate con una gamma di grigi da far invidia a una sfilza di romanzi di successo. È stato uno straordinario fotografo di architettura e me ne accorsi subito: quando curai la mostra degli Anni Venti (1980) chiesi a Gabriele e a Roberto Bossaglia di documentare le architetture prescelte. Un lavoro esemplare che generosamente, entrambi, mi consentirono di pubblicare in miei volumi.
 
Ma accanto all’architettura per così dire titolata, Gabriele è divenuto il fotografo delle periferie urbane e dell’industria: in questo sensibile al lavoro del suo maestro Gianni Berengo Gardin e più tardi dei tedeschi Becher, veri “scienziati” della fotografia industriale. In Basilico c’è un’amalgama con il mondo palpitante degli operai della fabbrica, cosa che è del tutto assente nei pur grandi tedeschi e non in Walker Evans, altro suo cardine di riferimento. In biblioteca ho tutti o quasi i libri suoi e sono tanti - l’ultimo è Leggere le fotografie, edito da Rizzoli - e davvero non saprei scegliere.
 
Aveva fotografato molte metropoli del mondo. Forse quello che mi commosse più intensamente fu il lungo lavoro su Beirut distrutta da una guerra fratricida. Ma il suo non era un reportage, come se ne sono visti molti e anche assai belli, ma un memento, come i Disastri della Guerra di Goya o i disegni di Londra sotto le bombe di Henry Moore. Quando glielo dissi sorrise con il suo sorriso di bambino cresciuto.
 
Per la Fondazione Cini a Venezia, più di recente, fece una mostra che accostava le incisioni romane di Piranesi alle immagini che lui ne trasse, ricreando quel che aveva visto il grande Giovan Battista a metà Settecento. Un lavoro intelligentissimo, raffinatamente colto che solo un fotografo che era architetto poteva fare: gli espressi tutto il mio entusiasmo per il virtuosismo ottico di cui era stato capace. Non potei scriverne perché la mostra era in chiusura.
 
Dopo qualche tempo mi accorsi di avere su una parete di casa l’incisione di Palazzo Mancini, già sede dell’Accademia di Francia, dono degli amici dell’École quando conclusi i seminari a Parigi. L’indomani gli scrissi una e-mail dicendogli che mi sarebbe piaciuto avere accanto la foto del medesimo palazzo, ma forse, stampandola, era meglio tagliasse un pezzo esuberante di Palazzo Doria Pamphili in primo piano. Mi rispose subito: “Sono in partenza, l’avrai al mio rientro, ma così come è”. Era una richiesta impudente la mia, che solo l’intima amicizia poteva consentire e ora è un ricordo carissimo di lui.
  
Le nostre strade si sono

basilico_ault1985.jpg incrociate assai spesso: Basilico l’avevo invitato per la mostra Città sul mare con porto, nel 1982, seconda di una serie di cinque, promosse dall’Azienda Autonoma di Cura, Soggiorno e Turismo, allora diretta da Giuseppe Castaldo. Nella prima, Sette fotografi per un’immagine, tra gli invitati c’era un altro carissimo amico scomparso, Luigi Ghirri, che prese l’abbrivio per estendere il progetto centrato su Napoli alla penisola e curò la sua mostra bellissima Viaggio in Italia.
   
Nella lettera che inviò alla presentazione di Villa Pignatelli – letta dal Soprintendente Fabrizio Vona - ricordava la sua prima mostra napoletana e i suoi amici Mimmo Jodice e chi scrive. Per Città sul mare con porto Basilico fece foto bellissime e mio auguro che un giorno le foto di quelle cinque mostre possano essere riesumate, visto che è un patrimonio pubblico in cui figurano alcune decine di fotografi di tutto il mondo poi divenuti celebri. L’Azienda che le promosse è sciolta, e le foto sono di proprietà del Comune di Napoli. Mi chiedo che fine abbiano fatto, e inutilmente ho sollecitato i Sindaci che si sono succeduti a esporre quelle foto preziose e, oggi, di ingente valore anche economico: Raffaello Causa si rese subito disponibile a ospitarle in una mostra permanente. Non dubito che il soprintendente Vona rinnoverebbe la disponibilità del suo illustre predecessore. Sarebbe un modo intelligente anche di ricordare Gabriele Basilico.
 
Prima e dopo Natale con Gabriele ci siamo scambiati molte e-mail e lui era fiducioso che tutto volgesse al meglio e ci saremmo rivisti presto. Hélas non accadrà.


Tags: Bord de mer, Cesare de Seta, fotografia, Gabriele Basilico, mostra, recensione,
20 Febbraio 2013

Oggetto recensito:

Gabriele Basilico

 

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