In solidarietà alle zone terremotate (e inviandovi a mandare un'offerta con un sms al 45500) pubblichiamo questa recensione di una mostra appena chiusa in anticipo a Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Pochi pennelli possono dire di conoscere bene i paesaggi delle province spagnole quanto Joaquin Sorolla, impressionista fuori tempo massimo vissuto tra fine 800 e primi del 900
di Mirko Nottoli
Joacquin Sorolla, Il patio de Comares, 1917
Paesaggi. Paesaggi, paesaggi. Ritratti, giardini, patii, cortili, fiori, patii, ancora paesaggi. Joaquin Sorolla fu un pittore spagnolo, impressionista in ritardo di un paio di decenni, celebrato in vita e semidimenticato dopo, almeno fuori dai confini natii. Nato a Valencia nel 1863, frequenta dapprima l’Accademia di Belle Arti della sua città, poi si reca a Roma per continuare gli studi ma è a Parigi che, nel fervente clima della belle epoque, rimane folgorato da Monet e compagnia.
La luce, l’acqua, la natura, la pittura en plein air, pennellate che sfaldano la forma in favore del colore e dell’atmosfera, riflessi infiniti che duplicano specularmente la scena, l’armamentario impressionista c’è tutto. Si ritrova stilisticamente vicino a Boldini e a Sargent come dimostrano i bei ritratti dal piglio ufficiale, volti dall’aria attenta e particolareggiati nei dettagli solo apparentemente buttati lì con un colpo di pennello, come dimostra il bell’autoritratto con dedica alla moglie Clotilde che apre la rassegna.
Dopo essere tornato a casa comincia a viaggiare per tutta la Spagna, ritraendone scorci e regioni fino a ricevere nel 1911 la commissioni per realizzare una serie di dipinti per la biblioteca dell’Hispanic Society of America di New York raffiguranti “le province spagnole”. Di queste riesce ad evitare gli stereotipi folcloristici più triti riuscendone a cogliere il lato più vero e non forzatamente gioioso. Tra tutte è l’Andalusia la sua preferita: la Sierra Nevada, Granada, Siviglia, i palazzi dell’Alhambhra e dell’Alcazar.
Una predilezione particolare però rimane quella riservata ai patii, ai cortili, ai giardini porticati, che Sorolla raffigura in tutte le salse, al punto da progettarsene e costruirsene uno su misura quando si stabilirà definitivamente a Madrid con l’amata moglie. Una lunga, per certi versi monotona, sfilata di paesaggi, di vivai bruciati dal sole, dai colori variopinti e le atmosfere soffuse che ripercorrono 40 anni di carriera senza che se ne percepisca una minima evoluzione, stilistica o tematica.
Solo sporadicamente, in mezzo a tale distesa di quadri tutti simili a loro stessi ce ne sono alcuni che immediatamente spiccano sul piatto panorama, che sembrano vibrare di una energia più sottile, più intrigante. Sono quelle opere in cui l’artista all’interno di una delle sue solite vedute si sofferma su di un particolare, quasi insignificante, magari ripreso un po’ di sbieco, non perfettamente centrato, un angolo spoglio a isolare una finestra tra i fiori o un arco tagliato a metà.
Sono opere come Il bacino dell’Alcazar di Siviglia, del 1918 (in alto a sinistra) o Il patio de Comares del 1917, in cui al pittore riesce di infondere nella materia una fiamma viva che fa finalmente pulsare la natura ritratta di vita propria, merito di una dissonanza che colpisce l’attenzione del visitatore già in procinto di assopirsi sulla molle piattezza dell’offerta espositiva.
Per la prima volta in Italia, la mostra a Palazzo dei Diamanti, non si può certo dire che brilli per varietà o sorpresa. Nemmeno realizzarla deve essere stato poi molto complesso: un’occhiata alle provenienze e si scopre che è bastato trasferire il Museo della Fondazione Sorolla di Madrid a Ferrara, con l’aggiunta di qualche opera proveniente da collezioni private, sempre madrilene, a riprova dell’esigua popolarità che il pittore ha racimolato nel corso degli anni all’estero.
Ciò detto resta il fatto di una proposta inedita, di un artista storicizzato ma sconosciuto in Italia e questa, per noi, è una cosa buona e giusta. Nel merito, del valore o meno della pittura, ci si entra al passo successivo. Perché è esercitare il nostro giudizio critico quello che ci preme ed è ciò che un mostra deve proporsi di raggiungere: aprire un dibattito, anche solo personale per poi poter giudicare, confrontare, farsi un’ opinione. Per questo preferiamo vedere uno scadente Sorolla che non avevamo mai visto piuttosto che un bel Monet già visto mille volte.
Tags: Alhambra, Ferrara, Giardini di luce, Il patio de Comares, Joacquin Sorolla, madrid, Mirko Nottoli, Palazzo Diamanti, recensione,
Sorolla – giardini di luce, Palazzo dei Diamanti, Ferrara
Fino al: 17 giugno 2012
A cura di: Tomàs Llorens, Blanca Pons-Sorolla, María López Fernández e Boye Llorens
Orario: tutti i giorni: 9.00-19.00 orario continuato. Aperto anche i festivi e il 2 giugno
Palazzo dei Diamanti
Ingresso: 10 euro, ridotto e gruppi oltre 15 persone 8,50 euro; scuole 4 euro
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