Giorgione da Castelfranco, Jacopo da Bassano, Cima da Conegliano: tre pittori conterranei e tre mostre a loro dedicate. Un percorso per ricordare quale straordinario centro di stili e correnti artistiche è stato il Veneto tra XIII e XIV secolo
di Andrea Dusio
“Roma è più grande di New York, perché contiene tutta l’America e se stessa”. Invecchiando, i tempi della provincia mi esasperano. Vicenza, sotto la pioggia di un treno perso e di un altro che non vuole arrivare, mi sembra fatta di gente che aspetta. Ognuno ha il suo modo d’ingannare il tempo, evitando accuratamente di guardare e parlare.
La civiltà della conversazione, quella che si estende dagli Asolani a Signore e Signori, è dissolta. Egualmente irrintracciabile e inservibile è lo sguardo dei viaggiatori locali, Piovene, Comisso, Neri Pozza. “Roma è più grande di New York”. È strano puntellarsi a una frase di Mario Schifano per cercare di capire Jacopo da Bassano, e vedere poi se si riesce a infilare sullo spiedino dello stesso paradigma anche Cima da Conegliano e persino Giorgione. (sopra, San Girolamo nel deserto di Cima da Conegliano, 1505-1510)
Oggi le mostre si fanno per supportare l’idea di un’identità pronta a diventare un marchio. Conegliano celebra Cima Poeta del paesaggio, e il link tra arte e territorio è già nei presupposti. Bassano del Grappa vincola addirittura la mostra Jacopo da Bassano e lo stupendo inganno dell’occhio alla creazione del brand Jacopo Bassano 500, ideato per diventare l’icona delle manifestazioni del quinto centenario della nascita del pittore. Ancora un cinquecentenario ha riportato Giorgione nel perimetro angusto delle mura di Castelfranco, con una rassegna ospitata addirittura nel Museo Casa, che si crede appartenesse alla sua famiglia.
Ma non c’è nulla di più irriducibile all’idea di territorio della pittura veneta. Dal quarto decennio del Cinquecento, Venezia è “più grande” di Roma, perché, dopo l’arrivo in Laguna di Cecchino Salviati, ne assimila i linguaggi manieristi, li rielabora e restituisce, trasfigurati dalla lezione locale del colore e da una concezione di spazio che, con Tintoretto, ha definitivamente surclassato l’idea della centralità dell’uomo nella storia.
Castelfranco però è più grande di Venezia, perché Giorgione contiene in sé non solo la pittura lagunare, ma tutta la tradizione padana, sino alla Milano di Leonardo, Bramante e Bramantino. A Bassano, Jacopo rilegge in maniera naturalistica Parmigianino, filtrato dal dalmata Andrea Schiavone, e recepisce El Greco prima di tutti.
Persino Cima, che sembrerebbe rispondere al prototipo dell’artista di provincia che va a scuola in città e poi torna al paese per ripetere quel che ha imparato in maniera sempre più sterile e estenuata, incrocia il proprio pennello con quello di Dürer, ed è probabilmente più open minded dei colleghi veneziani nell’accogliere le novità del maestro tedesco.
Giorgione attizza le fervide menti degli avventurieri da best seller e dei sacerdoti dell’iconologia, ma per gli storici dell’arte è un po’ come la Salerno-Reggio Calabria. Si sa come comincia, ma dove devia, dove s’interrompa e come finisca resta un mistero. Da una mostra-budello, che si rincorre su e giù per scale scricchiolanti, si esce anzitutto con l’idea che la paternità del tanto studiato fregio è appunto solo un’idea. Sotto il profilo del pensiero pittorico, distanze siderali sembrano poi dispiegarsi tra Le tre età dell’uomo di Palazzo Pitti e il Doppio ritratto di Palazzo Venezia.
Quanti pittori è Giorgione? C’è Dosso Dossi, e il giorgionismo ferrarese, dietro il Suonatore di flauto e il Cantore appassionato della Galleria Borghese? Il Sansone deriso, che Longhi riteneva autografo nelle scritture private al collezionista milanese Gianni Mattioli, non ha forse gli stessi presupposti? E l’attribuzione del Ritratto di arciere di Edimburgo non è un po’ spericolata? (a sinistra, Ritratto d'arciere di Giorgione, 1510).
Alessandro Ballarin, il Thomas Pynchon della storia dell’arte, il leggendario autore delle 1500 pagine su Dosso, scrive in merito all’Arciere che il dipinto può essere accostato a una “ritrattistica cortigiana, neoplatonica, stilnovista, fortemente idealizzata ed emblematica, che più nulla ha a che vedere con il ritratto realistico di Antonello, Bellini, Vivarini, Carpaccio”. Uno spunto che tutto sommato non si discosta dalla vecchia intuizione di André Chastel, sostenuta da cronologie un po’ traballanti, secondo cui Giorgione, alla stregua di Pietro Bembo, sarebbe un prodotto della cultura dell’ambiente cortese della regina di Cipro Caterina Cornaro.
Io ho solo due monete e due occhi, e non so dire se Giorgione finisca più in Tiziano, Sebastiano del Piombo o Dosso. Credo però che a farlo svoltare non sia stata tanto la consonanza di sentire con le corti dell’entroterra, quanto l’incontro, forse a più riprese, in Laguna con Leonardo, che capisce e interpreta con più spregiudicatezza intellettuale dello stesso Correggio.
Quanto ad Alessandro Ballarin, lo incontro finalmente, per la prima volta in vita mia proprio alla vernice della mostra di Jacopo da Bassano. E non resisto alla tentazione di comunicargli con entusiasmo quanto del Parmigianino mi è parso di vedere dietro al Riposo durante la fuga in Egitto dell’Ambrosiana. Lui prima aggrotta le sopracciglia. Un segnale intensamente polisemico nel lessico della faccia parlante, e che mi lascia nel dubbio: si sta concentrando? Sta cercando di ricordare? Non capisce? Si domanda chi io sia e cosa voglia? "Sa, stranamente è la seconda persona che oggi mi parla del Parmigianino… Tuttavia, se mi scusa - e mi indica qualcosa alle nostre spalle - volevo vedere se riesco a prendere un po’ di quel risotto ai broccoli", lasciandomi definitivamente con il dilemma residuale di aver detto una banalità o una pirlata.
La rassegna di Bassano, pur concentrandosi su di un numero raccolto di opere, è fatta di pezzi di una qualità strepitosa, che testimoniano al meglio la spinta febbrile al continuo rinnovamento della propria pittura di Jacopo da Ponte. Che si emancipa in fretta dagli idilli stucchevoli di Bonifacio de’ Pitati, attingendo ai bresciani e al Lotto, ma che è poi capace di virare rapidamente verso la Maniera, e di ricondurla a una peculiare e antistorica sensibilità per la raffigurazione del vero, attestata anche da opere che precorrono la pittura di genere come i Due cani legati al tronco di un albero del Louvre.
In un momento di forte tangenza con Tiziano, Bassano arriva a realizzazioni di straordinaria intensità emotiva, come l’Ecce Homo, ricondotto ancora da Ballarin alla paternità del pittore, con datazione 1553 (che a me sembra comunque troppo precoce per questo livello di sintesi formale). Certo è un artista che passa indenne anche dal confronto con Veronese, ed è capace, come nel poderoso San Cristoforo dell’Avana, di svelare il colore con tocchi che riducono i volti e le carni quasi alla tumefazione.
Con chiara preveggenza della minore abilità dei figli, inventa infine un genere di raffigurazione pastorale che compendia aneddotica e naturalismo corsivo, fornendo loro una specie di polizza della vita, nelle forme di un protocollo esecutivo in grado di garantire il successo nel lungo periodo della bottega. (San Cristoforo di Jacopo da Bassano, 1559)
Un tratto d’umanità che ce lo rende ancora più simpatico e tutto sommato consanguineo del Cima, indubbiamente il meno ambizioso e geniale nel trio di pittori celebrati. Luce zenitale, repertori archeologici, sensibilità narrativa applicata più al paesaggio che alle figure: il segreto del successo dell’artista di Conegliano è nell’aver intuito che si poteva sorpassare a destra la lezione del vero di Giovanni Bellini, innestando le tecnica inimitabile di Antonello da Messina sulla ruvida classicità scultorea di Bartolomeo Montagna.
A Venezia, questa formula avrebbe presto stancato. Nella marca trevigiana, con sapienti aggiornamenti su Giorgione e sul tonalismo, ha retto all’infinito. E che Cima avesse ragione lo dimostra il fatto che piace ancor oggi, a fronte di una pittura raffrenata, che sazia troppo presto l’occhio, nel segno di un’invariabile armonia. E si resta lì, come l’angelo messo in copertina al catalogo della mostra, ad aspettare che succeda qualcosa, forse anche solo un treno che ci riporti a casa.
Tags: Andrea Dusio, Castelfranco, Cima da Conegliano, giorgione, Jacopo da Bassano, mostre, pittura, venezia,
L'arte veneta tra '400 e '500
Cima da Conegliano Poeta di Paesaggi
a Palazzo Sarcinelli, via XX Settembre, 132, Conegliano (TV)
Fino al: 2 giugno
Orari: da lunedì a venerdì, 9.00 - 13.00/ 14.30 - 18.00
Ingresso: 10 euro, ridotto 8 euro
Info: www.cimaconegliano.it
Jacopo Bassano e lo stupendo inganno dell'occhio
Museo Civico di Bassano, Piazza Garibaldi 12, 36061 Bassano del Grappa (VI)
Fino al: 13 giugno
Orari: 9.00 - 19.00
Ingressi: 12 euro, 9 euro ridotto
Info: www.bassano500.it
Giorgione 2010
Museo Casa Giorgione, Castelfranco Veneto (TV)
chiusa l'11 aprile scorso. Leggi la nostra recensione
Commenti
Invia nuovo commento