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FILM

Gli scontati

Dal romanzo di Sandro Veronesi un film di Matteo Rovere "per soli uomini": nel senso che se i protagonisti de Gli Sfiorati sono personaggi a tutto tondo che funzionano un po' per luoghi comuni, le donne si dividono tra femministe fasulle e lolite senza charme. In sala da venerdì 2 marzo, anche se forse è qualcosa che avete già visto...


di Sandra Petrignani


Matteo Rovere è un giovane regista attratto dalle ragazze cattive, belle secondo schemi televisivi, ricche e senz’anima. Ne ha dato prova in un precedente film, il suo primo, Un gioco da ragazze (per dovere di cronaca dichiaro che non l’ho visto, ma la trama parla chiaro). Ora, decidendo di portare sullo schermo Gli sfiorati, tratto da un romanzo di Sandro Veronesi del 1990, sembra che di quel racconto lo abbia intrigato proprio il lato più debole: un’idea del femminile che non è certo la parte migliore del libro. Un’idea da fumetto per soli uomini, per capirci, senza la grandezza di un’ossessione abnorme felliniana, ma tutta ricalcata su stereotipi plastificati. 
 
Il problema, poi, è che lo stereotipo dilaga anche sugli altri personaggi, sicché la sfiorata protagonista Belinda (una rifattissima – ma perché? - Miriam Giovanelli) avrà buon gioco a risucchiare nel proprio universo tutto culetto-tosto-dentro-perenni-mutandine-esposte e dito-in-bocca, ingenua caricatura di Lolita senza nemmeno l’ombra del suo sconfinato charme, il fratellastro Mète, perdutamente innamorato di lei anche se è l’unico a non rendersene conto. Ma già, è uno sfiorato anche lui, quindi non capisce niente né di sé né degli altri.
 
Mète (Andrea Bosca) ha poi due amici, uno buono (Claudio Santamaria) e uno cattivo (Michele Riondino) costretti senza sfumature a fare per tutto il film uno lo sfigato e uno il figlio di buona donna. Rimane comunque misterioso il perché quello buono frequenti gli altri due con cui non ha evidentemente niente a che spartire, visto che anche Mète, oltre a una perenne aria da bel tenebroso molto problematico, non punge per fascino, intelligenza, sensibilità o simili delizie che sono il sale del carattere umano come delle sue rappresentazioni artistiche.
 
sfiorati2.jpgE a proposito di charme, la delusione più grande viene da Asia Argento, o meglio dal suo personaggio, che entrando in scena con prodigioso scuoter di capelli, camminata regale, sguardo predace eppur malinconico in grado di spandere finalmente vero eros, precipita in un insopportabile crescendo di luoghi comuni nonappena costretta a pronunciare (urlando) le battute da fasullissima femminista che gli sceneggiatori Laura Paolucci, Francesco Piccolo e lo stesso Rovere hanno cucito per lei. Una macchietta ridicola, più che grottesca, in un film che, mi pare, le ha sbagliate tutte. Tranne forse l’operazione di marketing, sinergica combinazione ampiamente pubblicizzata dell’uscita per Fandango Cinema in concomitanza con la riedizione del romanzo per Fandango libri.
 
Restano ancora due elementi, volendo, da trattare: Roma, che nelle intenzioni di Veronesi è la vera protagonista della storia, e l’uso della musica. Roma effettivamente è molto presente nelle immagini, la Roma vuota, splendida, tutta mattoni rossi e baretti deliziosi che ci sognamo dalla mattina alla sera noi che, vivendoci, ci scontriamo con le sue inefficienze, i suoi clacson, sporcizie e ingorghi quotidiani.

Quanto alla colonna sonora, è sottolineatura dei sentimenti dei personaggi e così ci tocca, durante una fondamentale scopata, ascoltarla diminuire per fare pendant con le remore del protagonista, e rinnalzarsi per spingerlo a compiere la sua performance. Una trovata veramente romantica. Ma mai quanto quella finale, quando la famigliastra di Mète, riunita allegrissimamente in macchina e scorazzante per la suddetta Roma, non si tiene dal cantare a squarciagola in coro sgangherato una canzone di Ramazzotti. Qui però mi appello al V emendamento e mi taccio.



Tags: Asia Argento, Claudio Santamaria, Gli Sfiorati, Matteo Rovere, Michele Riondino, recensione, Sandra Petrignani,
29 Marzo 2012

Oggetto recensito:

Gli Sfiorati, di Matteo Rovere, Italia, 111 m

giudizio:



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