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FILM

Pupi Avati, un film alla memoria

A qualche mese soltanto da Il figlio più piccolo il cineasta bolognese torna a lavorare sul terreno a lui più congeniale, quello delle emozioni. In Una sconfinata giovinezza accompagna Lino, giornalista colpito dal morbo di Alzheimer, in un dolce viaggio tra i ricordi d'infanzia


di Andrea B. Previtera

 


Vi sono temi destinati a rimanere terreno aspro per la semina di una buona storia, a dispetto dei tempi o della divulgazione. E no, non si tratta di una questione di tabù – sempre che ne esistano ancora, sempre che ne siano mai esistiti davvero. Non si stratta neanche di complessità intrinseche all’oggetto – dettagli scientifici, ad esempio. Semplicemente, ci sono temi che sembrano poter seguire un singolo, unico copione. 
 
Pupi Avati, (nel 2010 già in sala con Il figlio più piccolo), si dimostra ancora una volta un coltivatore caparbio e va a seminare sul campo, difficilissimo, del morbo di Alzheimer: ne trae un racconto misurato e onesto, solo appena trasognato – nell’uso di quel tocco personale giocato tra memoria e presente, già collaudato ad esempio in Regalo di Natale.
 
La colonna sonora costruita su attimi di un jazz delicato e struggente, la fotografia soffusa - c’è molto, del resto, di reminiscente del capolavoro del 1986 - mentre la voce narrante di Francesca Neri accompagna le vicende di cui è protagonista nei panni di Chicca, moglie del cronista sportivo Lino Settembre (Fabrizio Bentivoglio).
 
Vicende che solo marginalmente si imperniano, nei fatti, sul morbo che colpirà Lino fin dal principio. L’asse è spostato, impercettibilmente, quel tanto che basta a rendere la malattia un elemento laterale e parallelo al corso degli eventi. Una malattia che accelera processi già in embrione, come la metamorfosi di un amore coniugale in amore materno. Una malattia che piega il tempo e crea una circolarità con l’adolescenza mai dissolta.
 
Dunque Avati si “perde” una volta di più in una storia di storie, scorci personali e familiari, molti personaggi, molte ombre, piccole miserie. E la firma inconfondibile del regista resta unica, in questo dosaggio quasi subliminale di minuzie umane - come l’estrema semplicità di alcuni dialoghi che parrebbero persino improvvisati, o la permanenza, nel montaggio finale, di gesti quotidiani comunemente omissibili in una rappresentazione della vita su grande schermo.
 
Unico vero neo, una scelta di sovrapposizione narrativa didascalica e assolutamente superflua. Pochi frangenti, ma sufficienti a richiamare lo spettatore da quella sensazione di smarrimento che tutto il resto dell’impianto cerca di originare – spezzando, definendo, persino svilendo gli eventi con premesse lette come fossero istruzioni per l’uso o foglietti illustrativi.
 
Una sconfinata diovinezza
, dunque un film sufficientemente “diverso”, di una diversità consigliabile, e ammirevole per il cinema nostrano. Un film che si appoggia con dolcezza alle convoluzioni di un morbo, e che lo racconta con un tenero, infantile disorientamento. A pensarci bene, come ne fosse afflitta la pellicola stessa.



Tags: Andrea B. Previtera, Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, malattia mentale, morbo di Alzheimer, pupi avati, recensione, Una sconfinata giovinezza,
12 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

Una sconfinata Giovinezza, di Pupi Avati, Italia 2010, 98 M

 

giudizio:



6.454287
Media: 6.5 (49 voti)

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