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LIBRI - NARRATIVA

Aldo Nove, autobiografia della distruzione

Dopo più di dieci anni dall'esordio, lo scrittore di Superwoobinda mette a nudo il proprio inferno. La vita oscena è un romanzo in cui gli eccessi sono raccontati con una lingua più sorvegliata e meno "cannibale". E senza disdegnare il comico
 


di Alessandra Minervini

 


Aldo Nove, poeta e scrittore, feconda la letteratura italiana. La sua scrittura, poesia feroce, ha fatto – fa e farà – scuola. Sin dai tempi di Superwoobinda (Einaudi, 1998) si avvertiva, leggendolo, una rara urgenza narrativa che decriptava la realtà restituendocela sottovuoto. Priva d'aria, protetta dalle parole. Nel suo ultimo romanzo La vita oscena, Aldo Nove (aka Antonio Centanin) azzera tutto, o forse lo moltiplica, si mette davanti allo specchio, si guarda e ci racconta una storia (la sua) che parla di morte e che, proprio per questo motivo, è una storia sulla vita.
 
“Un giorno mio padre stava per dire una parola ma non la disse, fece silenzio. Non la disse in un modo che era più squassante che se l'avesse urlata, quella cosa. Eravamo io e lui soli. Quella parola la trattenne. Quella parola. Era la paura di quello che sarebbe venuto dopo. Quel silenzio rimbombava dentro di me come uno schiaffo infinito”. Sono le prime pagine di un sofisticato romanzo autobiografico che procede per sottrazione linguistica invece che per accumulo. La parola è cancro. La stessa malattia della madre che, contro ogni previsione, sopravvive al padre che invece muore all'improvviso di ictus. La madre lo seguirà solo pochi anni dopo.
 
Da quel momento in poi il dolore diventa l'unica patria da cui emigrare: “Compivo diciassette anni e il mio unico desiderio era quello di morire il più presto possibile”. Precipitato nella solitudine (“rumore di ossa”), il protagonista intraprende un viaggio negli inferi per autodistruggersi che è l'unico modo per disintegrare il male. E invece il male si annida e la morte lo punisce negandosi all'infinito.
 
Inizia la vita oscena. La vita che non ha (con)fine; la vita che è parentesi dentro cui ci sono cocaina, pornografia, poesia, sesso feroce. Crudeltà anestetizzanti. Il ritorno a una condizione precivile e prenatale. Dolore. Il corpo è solo un lungo elenco di parole di cui ignoriamo l'esistenza e il significato. “Io non ero più di me” : è un mantra che si ripete ma non si avvera. Al suo posto si materializza una vita di eccessi che, invece di inorridire, ci commuove. Lo schifo non esiste. E' solo una patina per coprire il dolore.
 
Il lirismo carnale e tragico con cui Aldo Nove racconta la sua vita non è privo di momenti comici. Una comicità sacra che evita di trasformare il dolore in un feticcio. Come quando finisce in ospedale per aver accidentalmente tentato il suicidio. La degenza è forse la condizione di maggiore lucidità per chi osserva il mondo “come un ragno, appeso al filo dei condizionamenti momentanei”. Infatti, in queste pagine lo scrittore tratteggia una serie di ritratti umani che ci fanno piangere ma dal ridere, come ai vecchi tempi. (Indimenticabili la suora guardona e l'amico sfasato per cui “se Gesù Cristo fosse stato vivo avrebbe fatto il brigatista”).
 
Aldo Nove racconta la (propria) vita senza tradirla. Con quella sincerità che rende elegante ogni cosa: osceno è solo il silenzio.



Tags: Aldo nove, Alessandra Minervini, cancro, Einaudi, La vita oscena, letteratura italiana, parole, recensione, Superwoobinda,
08 Dicembre 2010

Oggetto recensito:

Aldo Nove, La vita oscena, Einaudi 2010, p 111, euro 15,50

 

giudizio:



6.03
Media: 6 (11 voti)

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