Il lamento funebre arriva dalla Fiera del Libro di Francoforte: non solo per l'editoria cartacea ma per la letteratura di élite in genere. Basta con i soliti scrittori, dai soliti paesi, che scrivono per le solite case editrici. Dalla nostra visita, tutto ormai sembra spingere verso un'editoria senza barriere, tecnologiche, economiche o geografiche
di Massimo Balducci
Questo resoconto non sarà l’ennesima prece per San Libro martire, crocefisso dalla crisi economica e dal progresso informatico. E tantomeno sarà un allarme sulla crisi dell’editoria italiana, anche perché l’Italia - vista dalla fiera del libro di Francoforte - è davvero tanto piccola da essere praticamente introvabile (e infatti io non l’ho trovata, non avendola peraltro neanche cercata).
Certo, uscire dal recinto delle nostre beghe comporta dei rischi: per esempio, il disorientamento più totale. E’ vero, ce lo dicono sempre, grazie a Internet il mondo non ha più confini e possiamo comunicare con la Malaysia con la stessa facilità ed economicità con cui suoniamo il campanello del vicino di casa. Ma la domanda è: cosa gli diciamo poi, all’amico malese collegato via Skype? Cosa sappiamo, tanto per restare in tema, della sua cultura e della sua letteratura? Abbiamo mai sentito nominare uno scrittore malese? O kazako? O islandese? Beh, qui almeno dell’Islanda si parla parecchio in questi giorni perché è il paese ospite della fiera, ed ha il privilegio di un’area tutta per sé.
Per quanto riguarda gli altri paesi, il padiglione 5 è una specie di mappa del mondo “secondo i libri”, dove appunto ogni paese offre ciò che ha da offrire in questo campo. E ho parlato della Malaysia non a caso perché (chi l’avrebbe mai detto) è particolarmente ruspante, con tanto di premiazione dei 50 (cinquanta!) scrittori malesi più importanti dell’anno.
L’Islanda poi, come è ovvio, ha programmato eventi a ciclo continuo per farsi conoscere. Questi hanno luogo in uno spazio buio, illuminato da megaschermi che alternano immagini di foreste e geyser ad altre di scrittori islandesi nell’atto di leggere: insomma il solito mix alla Bjork di tecnologia, cultura e natura che - per me come per molti altri, ignari di chi siano gli scrittori islandesi - stereotipizza la “islandesità”.
Certo che alla fine di questo giretto letterario del mondo, si hanno le idee più confuse di prima: abbiamo scoperto il nuovo genio nascosto di qualche letteratura emergente? Per ora no, o almeno, non io. Ma almeno in questo la mia personale opinione è ben più che confermata da quanto detto in molti incontri di questi giorni, e che si può sintetizzare più o meno così: basta con le élites! (becchiamoci questa, altro che crisi dell’editoria italica). Basta con quelle geografiche, appunto, perché del 90% dei paesi non sappiamo ancora praticamente nulla: è come se, nonostante le telecomunicazioni e tutto, non facessero ancora parte del nostro mondo.
E allora non lamentiamoci se la situazione sembra stagnante: pensiamo di conoscerla, e invece non vediamo altro che quel piccolissimo occhio di bue acceso sui paesi conosciuti. Che poi, anche dei paesi più o meno conosciuti, cosa ne conosciamo davvero? La Turchia, certo, Pamuk ha vinto anche quel premio a Stoccolma, però se dovessimo nominarne più di 3-4 (o anche uno solo sotto i 40 anni) temo che resteremmo a bocca chiusa, compreso il sottoscritto.
Tutti questi ragionamenti, si obietterà, hanno poco a che fare con il vero oggetto della Buchmesse: i soldi. Gli affari. Che pur se fatti coi libri, sono pur sempre affari. Che c’entra allora la crisi dell’elitarismo con l’argomento di quasi tutte le conferenze di questi giorni, vale a dire il mercato degli ebook? Beh, c’entra eccome. La "digitalizzazione”, parola chiave che ricorre in modo ormai insopportabile e quasi osceno, in realtà non è altro che la fine dell’elitarismo nel suo aspetto più pratico.
“Stampa il tuo libro in 5 minuti”, come più o meno promettono una buona metà degli stand al padiglione 4.1, è la conclusione apparentemente obbligata: e ci credo che poi gli editori si lamentano, sentendo puzza di fine regime. E poco importa se la puzza finora sia più nelle chiacchiere che nei dati; essendo sempre le chiacchiere (altrimenti dette “l’aria che tira”) a determinare la fine delle élites e dei regimi.
E se vogliamo parlare della crisi dei regimi in senso stretto, c’è anche quella: primavera araba. Convegno (per mia fortuna con traduzione simultanea dal tedesco) sulla “diplomazia digitale”, ovvero l’importanza della rete negli equilibri politici. E nella fine delle élites, ovviamente. Per cui la conclusione di uno dei partecipanti può anche sintetizzare il senso complessivo di queste giornate: “la fine dell’elitarismo non significa che vengono abbattute le élites. Significa che ad un certo punto non esiste più differenza tra le élites e le masse”.
Come quando, appunto, scopriamo che chi usa Facebook in Egitto non è più una élite. Come non lo è chi pubblica un libro dalle nostre parti. Non lo è perché ormai siamo sempre più invischiati in una "zona grigia" che non è più élite e non è più massa, ma un ibrido. Vogliamo cambiare completamente argomento, e andare al seminario sui videogames? Stesso concetto: fine delle barriere, modalità ludica che tende a insinuarsi dappertutto, dai libri alla tv al web. Con tanti saluti alla separazione netta (ed elitaria appunto) tra forme serie e forme leggere.
Per quanto riguarda l’elitarismo geografico dobbiamo ancora abituarci... ma l’idea che non esista più un “terzo mondo della letteratura” è ormai in cammino. E’ proprio così importante allora seguire l’evoluzione degli zerovirgola sul mercato italiano?
Tags: e-book, editoria, fiera del libro, Francoforte, internazionale, islanda, Massimo Balducci, recensione,
Fiera del Libro di Francoforte, 12-16 ottobre
Il Sito: www.buchmesse.de/en/fbf/
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