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LIBRI - NARRATIVA

Palermo palestra di vita

Per Davidù la boxe è una passione ereditata, dal papà e prima ancora dal nonno. Il capoluogo siciliano raccontato dall'attore e narratore Davide Enia nel suo primo romanzo Così in terra, è un ring dove nel corso degli anni si impara la lotta per la sopravvivenza.


di Stefano Nicosia

 


Davidù ha nove anni quando sale sul ring per la prima volta: da quel momento non ne scenderà più, fino al combattimento per il titolo nazionale. La Palermo dove è nato e cresce il protagonista del primo romanzo di Davide Enia è, in realtà, essa stessa una palestra da boxe per i personaggi: c’è chi i pugni li dà, chi li prende soltanto, chi impara ad incassare e a tenere alta la guardia.
 
Toccherebbe sin da subito fugare i dubbi: è un libro su Palermo? Sulla boxe? Sulla crescita di un ragazzino del proletariato urbano? Tutte le tre cose insieme? (la risposta che vi aspettate, lo sappiamo). Andiamo con ordine. In molte famiglie c’è una tara ereditaria (perché sì, suvvia, è un po’ una tara): tanti ingegneri, tanti medici, tanti insegnanti e così via. In quella di Davide il pugilato prende il posto di uno di questi mestieri borghesi, quelli che si scelgono, non quelli che necessità impone. Con la differenza che in questo caso più che di una scelta si tratta di un’iniziazione. Orfano del padre, è lo zio a portarlo sul ring per la prima volta. Quello spazio delimitato dalle corde diventa quindi uno recinto sacro, alla stregua della foresta per alcuni popoli africani, dalla quale i giovani escono adulti.
 
dav rit.jpgIl secondo elemento, naturalmente, è il sesso. Quello tutto parole e gesti dei ragazzini del centro storico prima della gentrification, tra le rovine dei bombardamenti passati e le imminenti detonazioni della criminalità organizzata. Enia ce li presenta subito nel luogo forse più simbolico, una piazza, dove Davide, Pullara, Gerruso, Dominici e Castiglia come fossero già adulti mimeranno scene da western sergioleonesco.
 
Il buono, il brutto e il cattivo, insieme alle comparse affacciate al saloon – pardon, sedute su una panchina – e lei, Nina, capace di fermare il tempo, di orientare Davidù come il nord un magnete. Eccola, la femmina, contraltare della ferinità naturale che costella il romanzo. Tre capitoli, infatti – Il pesce squalo va alla guerra, Il campo di battaglia, Bentornata, ferocia – in cui si intrecciano e infine dipanano le storie di tre uomini: il giovane pugile, lo zio, il nonno. Dalle bombe della seconda guerra mondiale alle stragi di mafia, sessant’anni di agonistica lotta per la sopravvivenza si incontrano con l’altra energia vitale, cioè l’immancabile amore, un po’ selvatico, un po’ tenero, come i ragazzetti di Enia.
 
La storia tiene dietro alle parole del narratore ragazzino, una caratteristica non nuova nei lavori dello scrittore palermitano. In qualche punto c’è un po’ troppo compiacimento, che si spiega tuttavia con l’altro mestiere dell’autore, recitare. Ecco, lo abbiamo quasi detto, lo stiamo per dire: questo romanzo, se lo immaginate recitato, se lo pensate come uno di quei libri pop-up in cui si aprono le pagine e vengon su l’albero, la casa, il ring e il resto, se lo pensate così lo vedrete e lo ascolterete insieme a leggerlo. Perché sembra fatto per essere drammatizzato, come un cunto di piazza.
 
Potrebbe capitarvi in effetti di vedere Davide Enia recitarlo in teatro, dove la scansione delle scene, i dialoghi misti di dialetto e italiano funzionano al meglio. Del cantastorie ha infatti il ritmo cadenzato e quel rendere eccezionale i gesti dei protagonisti, quasi iperbolici, come quelli dei paladini. Il suo teatro di narrazione diventa qui narrazione teatralizzata – perché sulla copertina c’è pur sempre scritto ‘romanzo’ – e prosegue sulla stessa lunghezza d’onda recitativa dei suoi Italia-Brasile 3 a 2 e Maggio ’43.
 
Sembra che la performatività della voce e dei corpi – che è anche diventata tanta parte del cliché sui palermitani – detti prepotente il ritmo alle parole, che si organizzano sulla pagina con uno stile interessante, come nell’ultima parte del libro, in cui si alternano in maniera serratissima l’incontro per il titolo, Nina, i diversi flashback.
Ripresa dopo ripresa, il ring della palestra si è pian piano espanso, è diventato l’intera vita. Ma, alla fine del romanzo, sembra profilarsi una via per uscire dalla topografia del contrasto perenne che orienta la storia. Finché pezzo dopo pezzo i frammenti no, non si ricompongono, ma si accettano come tali; e le schegge delle bombe, i lividi dei pugni, vengono assorbiti dai corpi, che possono continuare a vivere.



Tags: boxe, Così in terra, Dalai, Davide Enia, Davidù, narrativa italiana, palermo, recensione, Stefano Nicosia,
30 Maggio 2012

Oggetto recensito:

Davide Enia, Così in terra, Dalai 2012, p. 304, 17,50 euro

L'autore: è nato a Palermo nel 1974. È autore e interprete delle pièce teatrali Italia-Brasile 3 a 2 (2002) e Maggio ‘43 (2004), testo sui bombardamenti di Palermo e sulla guerra vista con gli occhi di un dodicenne. Nel dicembre del 2005 esordisce in radio (RAI Radio2) con Rembò, un’inchiesta su calcio, cucina e sentimento in 15 puntate. Nel 2007 lavora di nuovo in radio con Diciassette Anni. Una sentimentale biografia metropolitana, e calca nuovamente il palcoscenico con I capitoli dell'infanzia. Nel 2010 ha pubblicato con :duepunti il racconto Mio padre non ha mai avuto un cane. Così in terra è il suo primo romanzo, finalista al Premio Strega e al Premio Bancarella 2012.

giudizio:



9
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